SÌ AL CENTRO, NO AI PARTITI PERSONALI.

Poiché sono cambiate le condizioni politiche generali, il nuovo assetto scaturito dal voto del 25 settembre non può non dare vita ad un processo di scomposizione e di ricomposizione del quadro politico nazionale. Il Centro può tornare a giocare un ruolo decisivo. Qual è la prospettiva? Il “terzo polo” di Renzi e Calenda, per essere realmente attrattivo, deve rispettare almeno tre condizioni fondamentali: la prima riguarda la credibilità di una “politica di centro”; la seconda consiste nella formula plurale del partito; la terza esige il rifiuto del “partito personale”. 

L’eclissi progressiva del Partito democratico – un partito sempre più correntizzato e sempre più lontano dall’avere una bussola politica chiara e definita – da un lato e la sostanziale assenza di un luogo consolidato e riconoscibile dove si può e si deve praticare una autentica e credibile “politica di centro” dall’altro, sta creando le condizioni per un’area culturale come quella Popolare e cattolico sociale di organizzarsi a livello locale e, soprattutto, a livello nazionale. Come si suol dire, sono radicalmente cambiate le condizioni politiche generali e il nuovo assetto, scaturito dal voto del 25 settembre, non può non dare vita ad un processo di scomposizione e di ricomposizione del quadro politico nazionale.

Ora, è un fatto abbastanza scontato rilevare che il mondo e l’area Popolare e cattolico sociale nel nostro paese è sempre coincisa con la proposta e il progetto politico “centrista”. A lungo con l’esperienza politica della Democrazia Cristiana e poi, in forma dispersa e frantumata, con le varie formazioni centriste presenti nei due schieramenti maggioritari dopo la fine e il tramonto della Dc. Ma sempre di presenza centrista si trattava. Per tornare all’oggi, però, non possiamo non rilevare che il luogo per eccellenza del Centro dovrebbe essere il cosiddetto “terzo polo” di Renzi e di Calenda. A tre condizioni, almeno a parere di molti.

Innanzitutto che il Centro e la politica di centro siano realmente il “core business” di questa formazione politica. Del resto, di fronte ad una situazione che rischia, per la precisa responsabilità della sinistra massimalista, populista e demagogica, di radicalizzare il conflitto politico riproponendo in forma aggiornata e rivista la sub cultura degli “opposti estremismi”, declinare una politica di centro diventa un asset centrale e qualificante per l’intera politica italiana, e non solo per il partito che se ne fa carico.

In secondo luogo il partito di centro non può che essere “plurale”, pena la perdita di credibilità progressiva dello stesso soggetto politico. Per essere ancora più preciso, un partito di centro è plurale se riesce ad essere la sintesi, efficace e feconda, di più culture politiche. Sarebbe quantomai curioso se, come pare intende fare Calenda, il cosiddetto “terzo polo” si riduce ad essere una versione aggiornata e contemporanea della vecchia esperienza del PRI e del PLI. Si tratta indubbiamente di rispettabilissime culture politiche ma il Centro nel nostro paese non può diventare, almeno a parere di molti, una sorta di “Partito repubblicano e post azionista di massa”. Sarebbe una operazione, questa, destinata a giocare un ruolo del tutto marginale e forse anche periferico nello scacchiere politico italiano. Sotto questo versante, e per fare un solo esempio concreto, l’apporto della componente cattolico popolare e sociale non potrà che essere decisivo e determinante per costruire il progetto politico dell’intero partito.

In ultimo, ma non per ordine di importanza, il Centro non può convivere con i “partiti personali”. E questo per una ragione persin troppo semplice da spiegare. Perchè la cultura politica che caratterizza e anima un partito di centro non può coincidere con il “partito del capo”. Quello è un modello dove la politica cede il passo ai voleri, agli umori e ai desideri del capo indiscutibile e sovrano. È, cioè, un modello incompatibile con chi punta a rialzare il prestigio e l’autorevolezza della politica, dei partiti e, soprattutto, delle culture politiche. E se dovesse prevalere un modello politico ed organizzativo di “partito personale” – cosa che, del resto, non è affatto nuova – sarebbe lo stesso progetto politico ad uscirne indebolito e, forse, definitivamente sconfitto. Perchè quando si parla di politica, di progetto politico e di cultura democratica si pensa, innanzitutto, a come declinare nel partito di riferimento il pluralismo culturale e la collegialità democratica.

Ecco perchè, per far decollare realmente, e stabilmente, un partito di centro con una credibile politica di centro, serve un partito vero. Democratico, plurale e caratterizzato da un forte e qualificato dibattito interno.