Si fa presto a dire Draghi, più difficile coglierne la sfida politica.

Le crisi in corso impongono un dibattito sulle prospettive a partire dai punti fermi indicati all’Ocse da Draghi rispetto alle priorità del presente. Prima e più del consenso, conta lo stile per quanti vedono nella visione proposta dal Presidente del Consiglio la via per affrontare una situazione generale delicata e per rigenerare la politica.

L’annuncio della presidente della Bce Christine Lagarde dei rialzi programmati del costo denaro e della fine degli acquisti dei titoli di stato, contribuisce a rendere ineludibile il dibattito sul futuro dell’Europa e dei nostri sistemi democratici. Nel contempo l’Europa è l’area del mondo che più averte le ripercussioni economiche della guerra in Ucraina, e che più si è sbilanciata nella corsa alla transizione ecologica, penalizzando e riducendo le fonti di energia tradizionali e ottenendo nell’immediato il risultato di fare salire il costo dell’energia.

Questi ed altri fattori impongono, appunto, un dibattito sulle prospettive. A cominciare da come si pensa di percorrere la curva pericolosa che ci sta dinnanzi dell’iperinflazione, senza finire di nuovo a Weimar ma senza neanche correre il rischio di rompere l’area Euro. In questa direzione i suddetti annunci della Lagarde non possono che far parte di una “liturgia” collaudata, atta a placare i Paesi del Nord ma senza asfissiare quelli mediterranei. Alla linea indicata dal presidente del Consiglio Mario Draghi il 9 giùgno scorso all’Ocse non sembrano esserci alternative: “responsabilità e solidarietà”. Possono cambiare gli addendi, si può avere un scambio dei ruoli fra i soggetti delle molitche monetarie, si possono inventare nuovi programmi ma alla fine il risultato non può mutare, a forme di acquisto dei titoli di stato da parte della banca centrale non c’è alternativa, soprattutto in tempi di deflazione.

Politiche monetarie adeguate al difficile momento sono il presupposto per un progetto di ripresa, al quale è certo essenziale la fine della guerra il più presto possibile. Ma poi – ed è ancora il discorso di Draghi all’Ocse in quello che si può considerare il passaggio centrale – per costruire il domani “dobbiamo iniziare affrontando le sfide che oggi abbiamo di fronte”. Non un approccio ideologico ma l’umiltà e la saggezza di riconoscere che accanto alle priorità definite vi sono quelle che la storia ci impone nel presente. La questione della transizione energetica è emblematica sotto questo profilo. Oggi il tema è il caro energia e il caro cibo, contrastare in Italia e nelle aree più povere del mondo, a cominciare da quelle in Africa, l’aumento delle disuguaglianze e della povertà, che provocano. Inoltre, non ci si può fossilizzare sui sistemi attuali di generazione delle energie alternative ma puntare, come ha suggerito Draghi a Parigi, a “promuovere ulteriormente la ricerca e lo sviluppo di nuove soluzioni energetiche pulite”.

Quali considerazioni politiche si possono trarre da un simile stato di cose? Forse quella più significativa è che l’attuale presidente del consiglio continua a dare prova di guidare non solo l’azione di governo ma di occupare anche e con enorme autorevolezza, lo spazio della progettualità e dell’elaborazione politica lasciato sostanzialmente sguarnito da questi partiti i cui gruppi dirigenti, chi più chi meno, appaiono incapaci di andare oltre una scaletta di priorità che mutuano dall’esterno, che non riescono più a definire in autonomia e tantomeno in sintonia e in dialettica con l’elettorato. L’altra lezione politica da apprendere, a mio avviso, è che un sistema pur formalmente multipartitico, ma che dimostra preoccupanti sintomi di fobia del pluralismo delle opinioni e dei punti di vista, strutturati e rigorosi ma non per forza coincidenti con la visione delle ristrette cerchie in cui è concentrato il potere, sui temi cruciali (economia, politica internazionale, ambiente, salute, energia…) finisce per essere inadeguato ad affrontare le sfide, che richiedono sempre uno sguardo più ampio dell’ideologia e delle mode del momento. È nell’interesse di tutti, e della democrazia, fermare una deriva che degrada sommariamente e sistematicamente ogni posizione diversa a fake news.

Se in qualche modo assistiamo a tutto questo, allora, credo, debba anche cambiare radicalmente il modo in cui si pone il tema di una lista o di un contenitore per Draghi per le prossime politiche. Nessun paragone è possibile col passato. La debolezza del sistema dei partiti è tale che a Draghi non sembrano esserci alternative anche per la prossima legislatura. Dunque, il problema, paradossalmente, non è tanto il consenso ma lo stile, il recupero di credibilità, la capacità di esser in sintonia con le direttrici di una leadership internazionalmente riconosciuta che esprime un’idea di Paese per il nuovo mondo multipolare, che di riffa o di raffa, emergerà dalle crisi in corso. Se un tale raggruppamento si costituirà, la sua principale ragione sociale non potrà che essere quella di cercare di instaurare un dialogo, effettivo, non a senso unico, con quello che in questa fase purtroppo sembra costituire il partito di maggioranza nel migliore dei casi solo relativa, che è il partito dell’astensione. Ma perché ciò diventi possibile è necessario superare steccati ideologici, dogmatismi di convenienza e massimalismi di varia natura che ben poco hanno a che fare con una cultura di centro.