Prima le “magnis”: le cose dei Ciclopi, per restare con Virgilio.
Quest’anno, la tradizionale “Lectio Magistralis” organizzata dalla Fondazione Trentina “Alcide Degasperi” per la ricorrenza della scomparsa dello statista, si è svolta attraverso la lettura di alcune sue lettere.

Testi che rendono pienamente l’idea di uno straordinario profilo spirituale e politico e che vanno valorizzati come base preziosa di una riflessione di incredibile attualità.
Oltretutto sono ora tutte disponibili in rete.
Emerge in primo luogo il profilo spirituale di un uomo cresciuto in un cristianesimo mitteleuropeo profondo e, insieme, rispettoso della laicità della politica vissuta come “responsabilità personale”.

Bisognerebbe riflettere molto su questo punto. Sopratutto oggi, mentre da un lato sembra smarrita la “cifra” distintiva dei cattolici in politica e, dall’altro, un Ministro degli Interni blasfemo bacia in pubblico rosari e crocefissi.
Per capire un poco meglio, basta rileggere la lettera che Degasperi scisse nel 1925 al giovane trentino Tullio Odorizzi, poi Sindaco di Trento, pubblicata sabato sul Corriere della Sera.

Nella fase iniziale del regime fascista, quando molti cattolici stavano in silenzio, oppure osannavano il nuovo “capo”, convinti che un po’ di libertà si potesse barattare in cambio di più sicurezza, Degasperi scriveva che proprio “in quanto cattolico” avvertiva il dovere di una irriducibile contrarietà. In nome dei principi religiosi e morali, prima che politici.
Una lettera – mutatis mutandis – di sconvolgente, inquietante attualità.
Oppure – per cogliere il senso del “cattolicesimo adulto ante litteram” – basta leggere quanto ebbe modo di scrivere a diversi interlocutori anni dopo, durante lo scontro con il Papa a proposito della volontà degli ambienti ecclesiastici del tempo di costringere la DC ad un accordo con la destra estrema per sconfiggere i comunisti alle elezioni per il Comune di Roma.

Dalle lettere emerge, in secondo luogo, naturalmente, il profilo “politico” di Degasperi.
E questo, ancora di più, induce ad uno sguardo (sofferto) alle “parva”, le cose nostre di oggi, sempre per restare con Virgilio. Cioè, le cose di noi povere api che rileggono le gesta dei Ciclopi.
Il grande poeta ne vedeva il nesso, tra le api e i Ciclopi. Noi oggi, questo nesso, lo vediamo molto meno.
Per questo, rileggere Degasperi non è retorica operazione di facciata, ma sincera ed umile volontà di ritrovare un “senso”, di ricostruire un “valore” della politica e delle Istituzioni democratiche.

Certo, si dirà, viviamo in un contesto storico radicalmente mutato. Verissimo.
Ma in ogni epoca di sconvolgenti cambiamenti occorre affidarsi a precisi punti di riferimento, che aiutino a scorgere i segni – che sempre e comunque la realtà ci offre – per individuare un nuovo sentiero.
Nelle lettere e nella testimonianza di Degasperi, questi punti di riferimento sono forti e precisi.

Necessità di una robusta dimensione morale (e spirituale per chi crede) come condizione di vera libertà ed autentica autonomia di giudizio; coerenza tra ciò che si proclama nella vita pubblica e ciò che si testimonia in quella privata; laicità della politica, come esercizio personale della responsabilità nelle scelte, alla luce dei valori in cui si crede e senza alcuna tentazione di relativismo; concezione alta e nobile delle Istituzioni, che mai ed in nessun modo possono essere violentate o delegittimate per interessi di parte; rapporto sincero ed ispirato alla verità con il popolo, al quale il politico ha il dovere di prospettare una idea ed un percorso, non le suggestioni demagogiche dei populisti; convinzione che la politica è per sua natura “coalizione tra diversi” per il bene comune e non arrogante solitudine auto referenziale.

Mi sembrano queste alcune delle premesse “a temporali” e attualissime di quella idea di “centro” che Degasperi interpretò non come banale moderatismo o “equidistanza” rispetto agli scontri politici e sociali, ma come progetto per un progressivo allargamento delle basi sociali della democrazia (il “centro che guarda a sinistra”); come capacità di “governare le complessità” senza violenza e sopraffazioni, con l’attitudine alla concretezza che gli derivava dalla sua formazione in ambito austro ungarico; come spazio politico dinamico, plurale, equilibrato nei modi ma radicale nella spinta riformatrice, rispettoso del “muro invalicabile” alla propria destra.
Si parva licet componere magnis, appunto.

Nessuna ape può avere oggi la sfrontatezza di intestarsi le gesta dei Ciclopi.
Se però qualcuno ha l’ardire di richiamarsi, con rispetto e pudore, a Degasperi può trovare riferimenti solidi. Certo oggi “fuori moda” e decisamente in contro tendenza, ma solidi e duraturi.
Riferimenti attorno ai quali ritrovare il “senso” delle cose e, magari, le tracce di un sentiero che pareva smarrito ed utili, forse, anche per orientarsi nell’inedito ginepraio di questa crisi di Governo.