Se bene organizzato, il  lavoro agile va anche  a favore delle imprese e delle P.A., perché consente di adottare nuovi modelli che riducono le spese e aumentano la produttività, rafforzando i sistemi di misurazione e valutazione delle performance.

Lo scorso anno, il lockdown della popolazione ha causato un calo generale dei livelli di gas serra e ha ridotto l’inquinamento. Questo è stato possibile grazie al telelavoro, un modello di lavoro poco presente, sino ad allora, in Italia, rispetto ad altri Paesi europei. In quei mesi i benefici ambientali grazie allo smartworking, senza possibilità di smentita, sono stati molti. Si sono evitati gli spostamenti, che impattano sull’ambiente e sulla salute; si è ridotto il consumo di carburante, le emissioni di gas serra e il rumore del traffico; e soprattutto gli ingorghi che, in questi giorni, stanno riempiendo le nostre aree metropolitane. 

Enea, in uno studio che coinvolge 29 pubbliche amministrazioni e 5.500 lavoratori, ha calcolato, per esempio, che lo smart working è in grado di ridurre la mobilità quotidiana di circa un’ora e mezza in media a persona, per un totale di 46 milioni di chilometri evitati, pari a un risparmio di 8000 tonnellate di co2, 1,75 tonnellate di pm10 e 17,9 tonnellate di ossidi di azoto. Ma bastano pochi mesi per cambiare una cultura aziendale e pubblica basata sul lavoro faccia a faccia? Come dimostrato dagli ultimi avvenimenti, sembra che non sia così. Se il settore privato si è ben adattato al nuovo corso, la pubblica amministrazione, con il Ministro della funzione pubblica, si muove in tutt’altra direzione. 

Una provvedimento che impatterà notevolmente sull’ambiente, frutto di una visione del lavoro miope e retrograda che, inoltre, non favorisce la responsabilizzazione degli enti sulla quantità e sulle modalità di smart working. Infatti, se, fino a pochi anni fa, la produttività era – anche – frutto del costante monitoraggio dei propri dipendenti, pubblici o provati che fossero, oggi, invece, il mondo del lavoro mette al centro le persone. Si è finalmente compreso che, la soddisfazione del dipendente viaggia di pari passo con la crescita aziendale ed il miglioramento della performance.

L’era postindustriale richiede, infatti, un nuovo modo di intendere il ruolo dei dipendenti: non sono più subordinati, ma collaboratori, cioè persone che utilizzano i tratti caratteristici del proprio modo di essere per raggiungere gli obiettivi fissati, indipendentemente da quanto la gerarchia aziendale possa pianificare o controllare, utilizzando tecniche di gestione classiche. Il compito del leader, in questo nuovo ambiente, non è più quello di essere il migliore della squadra, bensì quello di individuare e saper comunicare l’obiettivo da raggiungere e incoraggiare gli altri in questo senso. Il compito del team, invece, è raggiungerlo, scegliendo autonomamente gli strumenti migliori affinché ciò avvenga.

Il management moderno deve creare un contesto in cui tutti i dipendenti siano autonomi – il che, di contro, non significa assenza di vincoli e limitazioni. L’obiettivo è coinvolgere i lavoratori in dinamiche orizzontali che ne favoriscano l’autonomia e la creatività. In altre parole, scommettere sullo smart working, significa offrire alle persone flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, dei tempi e degli strumenti da utilizzare, elementi che ne accrescono la responsabilità nel raggiungimento dei risultati, e quindi valorizzano le capacità imprenditoriali di ogni dipendente.  Lavorando in questo modo, il lavoro agile diventa un vantaggio anche per le imprese e per le P.A., perché consente di adottare nuovi modelli che riducono le spese e aumentano la produttività, rafforzano i sistemi di misurazione e valutazione delle performance, basate sui risultati e sui livelli di servizio, diventano attrattive di talenti e portano ad una sensibile riduzione del fenomeno dell’assenteismo.