Non è mia intenzione fare cose di cui non ho né titoli, né esperienze di argomenti relativi a cosa significhi vivere obbligatoriamente in una straordinaria condizione di solitudine.

Non per questo, però, qualche riflessione me la concedo, se non altro perché, come tutti quanti voi, la subisco. Per chi mi conosce sa quanto io sia avvezzo a starmene costantemente con altri, a parlare, a discutere a confrontarmi e in sostanza sono un uomo profondamente sociale.

Da un mese a questa parte, e voi assieme a me lo testimoniate, sono precipitato in un insopportabile cono di solitudine. È vero ho il telefono, ho il computer, ho la televisione, ma sono tutti mezzi che, pur offrendomi un contatto con il mondo, nel contempo lo distanziano.

Non basta quindi parlare o vedersi tramite un video, l’uomo ha necessità di condividere lo stesso spazio e avere contatti diretti e non mediati da altro. La solitudine apre due varchi: il primo che permette a ciascuno di noi di esplorare maggiormente la propria dimensione interiore; il secondo di metterci in una fredda condizione in cui si sente quanto quella ricchezza interiore sia sempre drammaticamente insufficiente.

Ed è per questo che il periodo di quarantena – è altamente probabile che il termine quaranta sia del tutto insufficiente – ci mostri questi due versanti esistenziali.

Possiamo pertanto così dilungarci nelle parti che abbiamo largamente trascurato, nel nostro intimo: ripensare alle scelte fatte, alle cause che le hanno prodotte, a cosa potevamo aspirare, alle sconfitte, agli slanci, alla povertà in certi momenti del proprio pensiero, alla bellezza del potenziare i tratti migliori di noi stessi; e, diciamolo, tutto questo ha l’indubbio vantaggio di estendere a dismisura le nostre parti recintate e custodite nella memoria.

Ci troveremo comunque a fare anche i conti, come ho riferito sopra, al limite che ciascuno di noi costituisce in quanto singolarità. Questo reclamerà il bisogno urgente di uscire da noi stessi, perché solo incontrando gli altri, stando con questi, litigando e riallacciando piacevoli armonie, daremo senso a quanto siamo.

Se l’isolamento dovesse prolungarsi oltre un certo limite, e vi confesso che per me sembra ormai raggiunto, quel secondo aspetto potrebbe rovesciarsi in timori, paure o eccessive preoccupazioni. Questa, se troppo intenso, rappresenterebbe davvero una vera malattia dell’anima.

Anche per questi aspetti, che sommariamente ho descritto, c’è da augurarsi una veloce sconfitta di questo malefico virus. Voi capite che non mi sono soffermato su guai ben più profondi, quali la salute del corpo, l’economia, il lavoro, perché ne abbiamo già parlato e purtroppo saremo ancora qui a parlarne. Ho inteso solo spendere qualche riflessione su aspetti magari più marginali, ma non per questo meno significativi del nostro vivere questa triste pagina quotidiana.