Articolo pubblicato dalla rivista Treccani

 

Larga vittoria dei conservatori guidati da Boris Johnson alle elezioni nel Regno Unito: il partito conquista un’ampia maggioranza alla Camera dei Comuni ottenendo 364 seggi, ben 66 in più rispetto alle elezioni del 2017. Sconfitta storica dei laburisti che di seggi ne perdono 42, fermandosi a 203. Dimezzata la rappresentanza dei liberaldemocratici, buona affermazione degli indipendentisti scozzesi, contrari alla Brexit.

Non elegge neanche un deputato il Brexit Party di Nigel Farage, che si trova nella paradossale situazione di chi sparisce dalla scena politica, ma vede realizzati i suoi obiettivi; va segnalato che il partito aveva attuato una sorta di desistenza non presentando candidati nei collegi sicuri dei Tory.

Il risultato generale è ovviamente una grande affermazione personale di Boris Johnson che con il suo stile diretto, la fiducia assoluta in sé stesso, la sua refrattarietà ai compromessi e alle lungaggini, ha conquistato il consenso degli elettori. La Gran Bretagna ha votato per la quarta volta in poco più di quattro anni, ma questa volta il risultato è chiaro e rappresenta soprattutto il via libera definitivo che Boris Johnson attendeva per attuare senza indugi la Brexit.

Il risultato è naturalmente prodotto dalle scelte degli elettori, ma non bisogna dimenticare che il sistema elettorale in vigore nel Regno Unito è un maggioritario puro, in cui in ognuno dei 360 collegi viene eletto il candidato che ottiene la maggioranza relativa dei consensi. Un modello che favorisce il primo partito (i conservatori hanno ottenuto il 43,6 % dei voti e circa il 55% dei seggi) e tutte le formazioni che hanno un forte radicamento in alcune aree del Paese; lo Scottish National Party con una percentuale generale del 3,4% ha ottenuto 48 seggi vincendo praticamente ovunque in Scozia, mentre i liberaldemocratici con il loro 11,5 % distribuito in numerosi collegi ottengono soltanto 11 deputati.

In ogni caso, il verdetto è chiaro; Johnson si accinge a riformare il partito per gestire il successo, realizzare la Brexit e affrontare cinque anni di governo. Jeremy Corbyn, rieletto alla Camera di Comuni in una giornata che ha fatto registrare il peggior risultato del partito dal 1935, ha annunciato che non guiderà i laburisti alle prossime elezioni, ma ha intenzione di restare in carica per gestire la riflessione postelettorale e la transizione con il rinnovamento dei vertici; Jo Swinson si è invece dimessa subito dalla guida del partito Liberal Democrats, dopo aver perso anche nel suo collegio di East Dunbartonshire, in Scozia.

L’uscita dal Regno Unito dall’Unione Europea in tempi rapidi è la conseguenza di portata storica che il voto sancisce, chiudendo definitivamente la porta alla stagione dei compromessi e dell’incertezza e alle speranze di chi proponeva un secondo referendum. La Brexit verrà attuata probabilmente entro il 31 gennaio e Donald Trump si è affrettato a congratularsi con Johnson, prospettando in tempo reale accordi proficui in campo commerciale tra le due sponde dell’Atlantico. Ursula von der Leyen si dichiara pronta a negoziare e chiede ai leader europei un mandato chiaro. Il terremoto annunciato da Boris Johnson per il Regno Unito avrà grandi ripercussioni sugli scenari globali.