Sui diritti civili non siamo allo scontro tra guelfi e ghibellini.

Nessuno pensa di bloccare i diritti personali e men che meno i diritti sacrosanti dei bambini. C’è l’esigenza piuttosto di riaffermare laicamente, ciascuno per la sua parte, una determinata visione culturale.

Il dibattito, come al solito acceso e persin violento che si è innescato dopo la manifestazione di Milano organizzata dalle “famiglie arcobaleno” sulla difesa di alcuni diritti, non ha affatto riproposto la storica contrapposizione tra i guelfi e i ghibellini come avevamo conosciuto nel passato recente e meno recente. Perché in discussione, adesso, c’è una visione differente della società frutto anche, e soprattutto, di un sistema valoriale, etico, culturale e politico diverso se non addirittura alternativo. Semmai, e al contrario, emergono in modo netto e tagliente le diversità culturali che non possono più essere sottaciute o, peggio ancora, sacrificate sull’altare di piccole convenienze personali o di corrente all’interno dei rispettivi partiti di riferimento.

A cominciare anche, e soprattutto, dalla cultura cattolico popolare. Un filone di pensiero che non può, soprattutto di fronte all’ennesima riproposizione della cultura radicale, libertaria e laicista, non far sentire laicamente e rispettosamente le sue radici. Del resto, non è una gran novità il carosello di appoggi mediatici, di supporto giornalistico e di condivisione di costume che arriva dagli alfieri del caravanserraglio del “politicamente corretto”. Soprattutto da molti protagonisti del piccolo schermo, storicamente contigui ai sostenitori di queste battaglie e acerrimi nemici di chi le contesta o le contrasta.

Ora, per fugare qualsiasi equivoco, non c’è nessuno che pensa di bloccare diritti alle persone e, men che meno, ai diritti sacrosanti dei bambini, in virtù di una concezione culturale e politica confessionale, clericale o peggio ancora reazionaria. Chi fa accuse del genere, com’è ovvio e scontato, fa solo propaganda politica e bassa speculazione giornalistica e culturale. Semmai, e al contrario, si tratta di avere il coraggio e la coerenza di riaffermare laicamente la propria visione culturale, e di società, senza per questo negare diritti altrui o non riconoscere la dignità di tutte le persone e di tutte le esperienze di relazione affettiva che sono presenti nella nostra società sempre più articolata e pluralistica.

E quella dei cattolici popolari, soprattutto dopo un lento ma irreversibile ritorno delle culture politiche e delle stesse identità politiche, non può che ritornare protagonista. Un protagonismo che prescinde da prove di forza o da riaffermazioni integralistiche della propria visione, ma che semmai si basa sulla necessità di non rinunciarci pregiudizialmente per ragioni di puro organigramma interno ai rispettivi partiti di appartenenza. E questo per la semplice ragione che le culture politiche, nello specifico quelle democratiche, riformiste e costituzionali, continuano ad essere punto di riferimento e bussola di orientamento delle persone nella misura in cui non rinunciano alla propria specificità ed originalità.

Del resto, i grandi leader del passato del cattolicesimo popolare e sociale hanno sempre avuto il coraggio, la coerenza e la dignità di non rinunciare alle proprie idee e alle proprie convinzioni. Erano sì leader e statisti politici ma erano anche, e soprattutto, nella loro comunità di riferimento degli educatori e dei modelli a cui guardare con rispetto ed ammirazione. Perchè il “politicamente corretto” che esisteva anche nel passato, benché fosse meno virulento ed ossessivo, non li ha mai sfiorati nè condizionati. Perchè era “la forza delle idee” che li guidava e non solo le ragioni del realismo politico.