Suicidio assistito. Gambino: “Attenzione a non rendere ancora più fragili e privi di tutela i pazienti in bilico tra la vita e la morte” (AgenSir).

 

“Serve l’impegno di tutti, affinché attraverso dolorosissimi casi singoli non si giunga a nuovi protocolli sanitari generalizzati che finiscano inesorabilmente per rendere ancora più fragili e privi di tutela proprio i pazienti in bilico tra la vita e la morte”. Lo sostiene Alberto Gambino, presidente di Scienza& Vita, commentando il parere del Comitato etico regionale delle Marche sulla vicenda di “Mario”. Sarà il Ssn a doversi fare carico dell’assistenza al suicidio dei pazienti che lo richiedano?, l’ulteriore questione sollevata dal giurista. Di qui l’auspicio di una legge per scongiurare che nelle strutture sanitarie “si possa assistere inerti ad atti suicidari di autoassunzione di farmaci letali”.

 

Giovanna Pasqualin Traversa

 

Per la prima volta un Comitato etico non si è pronunciato su un caso di cosiddetto “accanimento terapeutico”, com’è noto, “non ammesso dalla legge”. Il Comitato etico regionale delle Marche è stato infatti chiamato a verificare, nell’ambito di “una vicenda diversa, nella quale il paziente stesso, alla luce dei quattro criteri indicati dalla Corte costituzionale, ritiene di poter interrompere la propria esistenza attraverso la somministrazione di un farmaco letale”, la sussistenza di questi criteri.

Alberto Gambino, giurista e presidente dell’Associazione Scienza& Vita, interpellato dal Sir commenta il parere con il quale il Comitato dell’Azienda sanitaria marchigiana riconosce nel caso in esame – la richiesta di Mario (nome di fantasia), camionista marchigiano di 43 anni, tetraplegico immobilizzato da 10 anni dopo un incidente stradale – la sussistenza delle condizioni previste dalla Consulta nella cosiddetta “sentenza Cappato” (n.242/2019) per la non punibilità di chi agevola il suicidio.

“Il Comitato etico – spiega anzitutto Gambino – valuta anzitutto la precondizione posta dalla Corte costituzionale, ossia che siano state offerte al paziente terapie del dolore e cure palliative. Questo è un passaggio importante: dal parere si evince che queste cure sono state somministrate ma che il dolore non è soltanto fisico ma anche psichico, e che il paziente non ha accettato un aumento di questi trattamenti”. Qui, secondo il giurista, “si apre il tema della dignità della vita, intesa non in senso oggettivo, bensì soggettivamente, secondo il sentire di ogni paziente e correlata ad una concezione soggettiva di dignità del morire”. In altri termini, precisa il giurista,

il Comitato etico si muove sulla scorta della prospettiva, aperta dalla Corte costituzionale, secondo cui “è solo il paziente a stabilire che cosa sia per lui dignitoso o no”.

Per Gambino, “il Comitato ritiene sussistano i requisiti dal punto di vista di una valutazione strettamente etica e di prassi sanitarie, ma fa emergere di avere ricevuto la richiesta di un parere anche in ordine alle modalità di somministrazione di questo farmaco letale, precisando tuttavia di non avere ricevuto elementi sufficienti per esprimere un giudizio etico sulla procedura indicata e, dunque, in definitiva il parere è formalmente incompleto e dunque non positivo”.

E qui, spiega il presidente di Scienza& Vita, “si apre un discorso strettamente giuridico, non di competenza del Comitato: se mai ci fosse un parere totalmente positivo, il paziente potrà essere assistito nel suo atto di suicidio da una struttura pubblica o solo privatamente? In altre parole: il Servizio sanitario dovrà farsi carico di assistere il paziente nell’autosomministrazione del veleno?

Questo la Corte costituzionale non lo stabilisce, né poteva, dunque, essere indicato dal Comitato etico. Si tratta di un tema delicatissimo che richiederà eventualmente una legge che possa scongiurare che nelle strutture sanitarie si possa assistere inerti ad atti suicidari di autoassunzione di farmaci letali”.

Gambino richiama il caso di Eluana Englaro, diverso perché legato ad una richiesta di interruzione di cure, ma che ha posto lo stesso interrogativo. “In quel caso – spiega – Tar e Consiglio di Stato hanno ritenuto che, una volta riconosciuto il diritto del paziente al rifiuto delle cure, le amministrazioni pubbliche debbano porre in essere gli atti che consentano la realizzazione di quel diritto”. Sulla scorta di quella vicenda, il giurista ritiene verosimile che, tuttora in assenza di una legge,

“un giorno potrebbe intervenire la decisione di un organo di giustizia amministrativa, il Tar ed eventualmente in seconda battuta il Consiglio di Stato, stabilendo che a fronte di un diritto riconosciuto, entro certi limiti, al suicidio assistito, l’amministrazione pubblica, ergo il Ssn, debba porre in essere tutti gli atti che consentano al paziente l’auto somministrazione del farmaco letale”.

 

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