Movimenti, personaggi, attentatori hanno i loro riferimenti politici e ideologici. Nel discorso c’entra anche Putin. Libro utile (Rete nera. Non ci sono lupi solitari) a tutti coloro che vogliono “sapere che” ma soprattutto a chi vuole “sapere perché”, secondo una celebre distinzione di Aristotele. A leggere il testo tra le pieghe delle tante suggestioni è il direttore di BeeMagazine (progetto culturale ed editoriale fondato da The Skill nel 2021). Di questa “lettura” riproponiamo, per gentile concessione dell’autore, un ampio stralcio.

Mario Nanni

“Nessun uomo è un’ isola e non ci sono lupi solitari. Chi lo sostiene mente o è complice. Da Utoya a Christochurch c’è un filo nero che ha insanguinato il pianeta, uccidendo innocenti nel silenzio generale. Una rete che si nutre sul web, odia il diverso, condivide ideologie suprematiste di estrema destra e gode di appoggi insospettabili”.

Questo brano, come un refrain, compare all’inizio di ognuno dei quattro densi capitoli del libro Rete nera – 293 pagine, Futura Editrice – con il quale Luca Mariani getta uno sguardo illuminate su una fenomenologia terroristica che sui media è tenuta (volutamente?) un po’ in ombra. Il ragionamento da cui l’autore, giornalista parlamentare dell’Agenzia Italia e autore di numerosi libri, di cui alcuni sono stati premiati, è questo: il terrorismo islamico e il terrorismo suprematista alimentano allo stesso modo lo scontro di civiltà teorizzato da Samuel P.Huntington. E allora perché i media e l’opinione pubblica danno un peso diverso alle due facce della stessa medaglia?

Inoltre il libro cita un brano tratto da un report delle Nazioni Unite del relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza correlata. Questo brano dice: “Un attacco ha maggiori probabilità di essere considerato un atto di terrorismo se eseguito da un musulmano. Al contrario, le minacce poste dalla violenza di destra sono spesso sottovalutate e non considerate terrorismo”.

Ecco, il libro di Luca Mariani è un grido contro questa sottovalutazione, e un meritorio tentativo, sicuramente ben riuscito, di invertire la tendenza nella percezione dei pericoli passati e in atto provenienti da forme esasperate di nazionalismo, sovranismo, che poi sono il brodo di coltura di organizzazioni estremiste ed eversive.

Con questo libro, ricco di dati, cifre, fatti, l’autore documenta i misfatti del terrorismo suprematista, tratteggia le figure e le idee di alcuni suoi capi e agitatori, fa una tragica contabilità delle stragi, delle violenze messe in atto, e squaderna sotto gli occhi del lettore una tale messe di informazioni da indurlo ad approfondire la conoscenza di fatti e fenomeni poco noti e soprattutto poco raccontati, e a fare le sue riflessioni. E lo aiuta anche con una bibliografia posta in appendice.

Il libro poi riporta i risultati di una iniziativa dello stesso autore. Quasi a prevenire obiezioni o dubbi su realtà peraltro documentate, Mariani presenta i risultati di una personale indagine fatta tra viaggiatori in partenza e in arrivo alla Stazione Termini di Roma. Un sondaggio allarmante per le risposte: da esse esce confermata quella che è poi la tesi, ampiamente documentata del libro, di una scarsa o nulla conoscenza dei fenomeni di violenza suprematista, xenofoba e razzista registrati in varie zone del mondo.

Alcune risposte ad esempio: le stragi di Utoya e quelle di Christcuhurch? Furono stragi dell’Isis (sic).

Riassume Mariani: i colloqui in una stazione non sono un sondaggio e non hanno alcuna pretesa statistica. Emerge comunque un dato certo: gli intervistati ricordano molto meglio gli attentati  del Bataclan e di Nizza del 2015 e del 2016 piuttosto che quelli del 2019 di Christchurch ed El Paso. Anche l’attentato islamista  al concerto della popstar Ariana  Grande è più vivo nelle menti degli intervistati rispetto alla strage di Utoya, dove vennero sterminati 69 ragazzi per estirpare alla radice le loro idee.

L’autore si domanda: ci sono responsabilità per tutto ciò? In Italia, due giorni dopo la strage di Utoya, quando tutti i fatti erano chiari e inoppugnabili, il quotidiano “Libero” intitolò: “Il killer non è di Al Qaeda, ma l’islam resta il problema”. Che sia  forse questo uno dei motivi per cui si sono persone che attribuiscono sempre all’Islam tutti gli attentati del globo?

Di domande Mariani se ne pone tante e il libro aiuta a trovare anche delle risposte. Un’altra domanda per esempio che si pone, ed è del resto in linea con il report già citato dell’Onu, è la seguente: perché per i brigatisti rossi e per il terrorismo di estrema sinistra si parlò giustamente del loro “brodo di coltura” (e di “album di famiglia”, aggiungiamo noi) e nessuno si pone la stessa domanda per i nazionalisti xenofobi? “Quali studi, quali frequentazioni, quali idee politiche, quali valori, quali canali di comunicazione condividono i killer razzisti, contrari al multilateralismo e al multiculturalismo?”.

E allora seguiamo alcune tragiche sequenze, enumerate nel libro, di un elenco non esaustivo, dato che gli attentati suprematisti sono decine e decine.

Oslo e Utoya: 22 luglio 2011. Il trentaduenne norvegese Anders Behring Breivik uccide con un’autobomba 8 persone nel palazzo del governo di Oslo e poi 69 giovani, perlopiù adolescenti, nell’isola di Utoya, dove si svolge il tradizionale raduno estivo dei socialisti e laburisti di tutta Europa. L’obiettivo dello stragista è quello di estirpare alla radice il marxismo/multiculturalismo, che favorisce l’invasione islamica dell’Europa. Gli immigrati vanno cacciati dal Vecchio Continente entro il 2083, quattro secoli dopo il fallito assedio degli Ottomani a Vienna.

Breivik ha stilato un suo “manifesto”, manco fosse Carlo Marx, si definisce  nazionalista e cavaliere templare, cita fra gli altri Timothy McWeigh (un signore che ritroveremo autore di un’altra strage), la Russia Unita di Putin, il Likud di Netanyahu, Le Pen, la Lega, il leader di Forza nuova Roberto Fiore e l’English Defence League.

Christchurch (Nuova Zelanda) 15 marzo 2019. Il ventottenne australiano Brenton Harrison Tarrant uccide con armi da fuoco 51 fedeli della moschea “Al Noon” e nel centro islamico di Linwood, tra cui un bambino di tre anni. Quale l’obiettivo del carnefice? Fermare The Great Replacement, La Grande sostituzione, che è peraltro il titolo del suo “manifesto” (anche lui ne ha uno). C’è a suo dire un piano per il genocidio dei bianchi tramite l’invasione degli immigrati.

Tarrant, che si definisce un “ecofascista”, afferma di aver preso ispirazione da Breivik e cita tra gli altri Luca Dylann Roof e Luca Traini, un personaggio che si rese protagonista di un attentato a Macerata a sfondo razzista: sparò e ferì sei immigrati neri, a un mese dalle elezioni del 2018.

El Paso (Texas) 3 agosto 2019. Il ventunenne americano Patrick Crusius uccide con armi da fuoco 23 persone, tra cui otto messicani e un quindicenne, nel centro commerciale Walmart di El Paso. L’obiettivo è fermare l’invasione ispanica del Texas. Crusius si definisce un sostenitore di Tarrant e cita il suo “manifesto”. Lo stragista di El Paso vuole incentivare il ritorno  degli ispanici nei loro Paesi d’origine.

Queste sono le stragi più recenti e cruente, ma negli anni ’90 c’è stato un fitto stillicidio di atti di violenza terroristica in Svezia, Germania, Austria, Cisgiordania, Georgia, e Alabama (Usa), Tel Aviv, Londra, e di nuovo in Svezia e Germania.

Una scia impressionante di sangue, che comprende  in primis Oklahoma City e la strage di 169 persone per un autobomba lanciata da un ventisettenne americano, Timothy McWeigh (che abbiamo trovato  tra i riferimenti di Breivik). L’obiettivo della strage è vendicare il massacro di Waco, avvenuto due anni prima, quando le forze dell’ordine avevano assediato la sede della setta dei davidiani (una setta religiosa avventista) e c’erano stati 76 morti. Mc Weigh legge vari scritti di estrema destra tra cui The Turner Diaries, di William Luther Pierce: un romanzo del 1978, considerato la bibbia della destra suprematista.

Gli attacchi dei killer suprematisti, nazionalisti e xenofobi, spesso lasciano un segno politico. A volte, per fortuna non sempre, influiscono sui destini di un intero Paese. Qualche esempio: le stragi di Utoya e di Oslo avvengono nel 2011 con il laburista Stoltenberg a capo del governo. Nelle elezioni due anni dopo va al governo il centrodestra, che ha in maggioranza anche il partito del progresso frequentato in gioventù da Breivik.

Il massacro di Christchurch è del marzo 2019 ma un anno e mezzo dopo alle elezioni neozelandesi il premier laburista  riesce nell’impresa di ottenere la maggioranza assoluta. Nella parte finale del libro c’è una intervista molto importante a don Giulio Albanese, sacerdote cattolico dal 1986, missionario in Uganda, Kenya, Sudan in molti altri Paesi africani.

L’intervista è lunga, va letta e meditata, ma segnaliamo almeno un paio di risposte significative alle domande che Mariani gli rivolge.

 

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