Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano

Come quando entriamo in un luogo buio e la vista è interdetta accade che tutti gli altri sensi automaticamente si acuiscono, aumentano di sensibilità. Così è oggi, che siamo entrati da più di un mese ormai, in questo luogo buio che si chiama pandemia. C’è bisogno di acuire tutti i sensi che prima magari erano lasciati lì intorpiditi. In diversi modi e tempi il Papa ci ricorda alcuni di questi sensi da risvegliare, in particolare due: vista e udito.

Nell’intervista ad Austen Ivereigh di due giorni fa Francesco è tornato su un tema a lui molto caro, la contemplazione: «E a proposito di contemplazione vorrei soffermarmi su un punto: è il momento di vedere il povero. Gesù ci dice che “i poveri li avete sempre con voi”. Ed è vero. È una realtà, non possiamo negarla. Sono nascosti, perché la povertà si vergogna. […] e siccome la povertà fa vergognare, non la vediamo. Sono là, gli passiamo accanto, ma non li vediamo. Fanno parte del paesaggio, sono cose. Santa Teresa di Calcutta li ha visti e ha deciso di intraprendere un cammino di conversione. Vedere i poveri significa restituire loro l’umanità. Non sono cose, non sono scarti, sono persone».

A volte basta vedere per essere toccati e convertirsi, ma bisogna saper vedere. Nel suo libro L’odore dell’India, reportage del viaggio che Pasolini compie nel 1961 insieme ad Alberto Moravia e a Dacia Maraini, il poeta friulano racconta del suo incontro con Madre Teresa di Calcutta. Aveva infatti sentito parlare di questa suora che si occupava dei più poveri dei poveri e deciso di andare a conoscerla (i suoi compagni di viaggio invece si sfilarono, spaventati da quel contesto di degrado). Nel libro non riporta alcun elemento del dialogo avuto con la suora ma solo lo stupore perché mai, scriveva, «lo spirito di Cristo mi è parso così vivido e dolce; un trapianto splendidamente riuscito» e poi per il fatto che pareva una donna che «quando guarda, “vede”».

Spesso i poveri li abbiamo guardati, ora è il momento di vederli, ma qui entra l’organo della vista che, ricorda Saint’Exupery, non è l’occhio. Alla fine quindi è un fatto di cuore, perché come afferma Benedetto XVI «il programma di Gesù è un cuore che vede» (Deus Caritas est, 31)

Tre anni dopo il viaggio in India Pasolini gira La ricotta, un film breve, drammatico e intenso che riproduce la scena della deposizione di Gesù dalla croce e fa precedere la visione con queste parole proiettate sullo schermo e da lui pronunciate: «A scanso di equivoci di ogni genere, voglio dichiarare che la storia della Passione è la più grande che io conosca, e che i testi che la raccontano sono i più sublimi che siano mai stati scritti». Quando ci si trova di fronte alla bellezza, quella vera, non servono commenti, è più utile fare silenzio. «L’unica vera lezione / Consiste nel guardare» canta il poeta irlandese Patrick Kavanagh, «Senza commenti da parte del filologo. / Stare a guardare è abbastanza / Quando è questione di amore».

In questi giorni la liturgia ci offre i testi sublimi di cui parla Pasolini, quelli che riguardano la passione, la morte e la risurrezione di Gesù. Il Papa nell’udienza di mercoledì scorso ha invitato i cattolici ad avere in questi giorni tra le mani, davanti agli occhi e nel cuore il crocifisso e la Parola di Dio. Anche qui non servono commenti, oltre alla visione il senso da acuire è l’udito e l’unico modo per farlo è nel silenzio. Nel saggio L’uomo eterno del 1925 l’inglese Chesterton, rileggendo i Vangeli, osserva come «Ogni tentativo di amplificare questa storia la diminuisce. Ci si sono cimentati molti uomini di vero genio ed eloquenza come altri troppo sentimentali e volgari retori. […] La potenza schiacciante delle semplici parole del Vangelo è come la potenza di una macina da mulino; e coloro che possono leggerla con sufficiente semplicità sentiranno come le rocce rotolare sovra di loro. La critica non sono che parole sulle parole: ma a che servono le parole su parole come queste?».

Il 25 marzo scorso, l’omelia del Santo Padre sul Vangelo dell’Annunciazione è consistita nella rilettura del brano del Vangelo di Luca, con l’unica avvertenza che «L’evangelista Luca poteva conoscere questo soltanto dal racconto della Madonna. Ascoltando Luca abbiamo ascoltato la Madonna che racconta questo mistero: stiamo davanti al Mistero. Forse il meglio che possiamo fare adesso è rileggere questo passo pensando che è stata la Madonna a raccontarlo». Nessun commento, solo la rilettura, meditata. Una splendida inattualità: in un momento in cui tutti noi, naviganti nella Rete e nei social, siamo diventati un popolo di commentatori, ecco che il Papa ci ricorda il bene più prezioso per l’uomo nasce dall’ascolto e quindi dal silenzio. Anche noi cattolici siamo condizionati da questo meccanismo del commento, per cui andiamo a messa spesso per ascoltare l’omelia del sacerdote, il suo commento al Vangelo, per poi commentarlo. Ed invece il Papa ci ricorda che questo non è l’essenziale. Rilegge il Vangelo e al termine della rilettura ha detto soltanto: «Questo è il mistero». Stiamo davanti al mistero e cerchiamo allora di acuire la visione, il silenzio, l’ascolto, queste cose contano «quando è questione di amore».