Tonini si tura il naso e vota Bonaccini. Ma quale sarà l’agenda del Partito democratico?

Il Presidente dell’Emilia Romagna è indubbiamente un amministratore capace, un politico pragmatico e di buonsenso, ma paradossalmente ostaggio, soprattutto in caso di vittoria, dell’agenda proposta dalla sua concorrente, Elly Schlein.

“Mi duole ammetterlo, ma stavolta il mio voto alle primarie del Pd sarà più un voto “contro” che un voto “per”. Voterò contro Elly Schlein più che per Stefano Bonaccini”. Giorgio Tonini, ieri sul “Foglio”, argomentava la sua scelta con il richiamo al valore dell’iniziativa svolta dal Pd negli ultimi due anni. Il torto della Schlein, a suo dire, consiste in una fake news, ovvero nel mettere sotto accusa la subordinazione del partito alle politiche neo-liberiste.

In effetti, Tonini ha buon gioco nel ricordare che l’appoggio del Pd al Draghi neokeynesiano visto a Palazzo Chigi – quello, per intenderci, del “non è il momento di chiedere soldi ma di darli” – meritava di essere rivendicato dai candidati alla segreteria del Pd. E non lasciato in campagna elettorale, sostanzialmente senza concorrenza, alla destra di Giorgia Meloni – aggiungiamo noi. Tonini spera, in conclusione, che la linea riformatrice possa essere ripresa e rilanciata da Bonaccini, una volta eletto segretario.

Veniamo al punto. Stefano Bonaccini è un amministratore capace, un politico pragmatico e di buonsenso, ma paradossalmente ostaggio, soprattutto in caso di vittoria, dell’agenda proposta dalla sua concorrente, Elly Schlein, il cui programma tende a incrociarsi con quello del capitalismo della sorveglianza. A tale riguardo, penso che si pongano non poche perplessità e timori in ordine alla giustizia sociale, alle modalità per la fruizione dei diritti fondamentali, alla stessa libertà economica, qualora questo capitalismo avanzasse incontrastato. 

Ora, la nota curiosa e triste sta nel fatto che mentre il Pd  ricompatta alla bell’e meglio la sinistra intorno a richiami che funzionano sempre, come quello dell’egemonia, ecco che i contenuti per i quali s’intende esercitare questa nuova egemonia paiono assunti in outsourcing, esternalizzati e non più definiti in modo coerente con i valori della sinistra stessa. Sembrano infatti affidati a una parte di establishment che si configura molto meno avanzata socialmente, se non anche, ai fini pratici, in termini decisamente ostici rispetto al modus operandi di Mario Draghi.

Adesso però, in questa domenica dei gazebo, conta la verifica di ciò che militanti e simpatizzanti desiderano adottare per il bene del partito. Le primarie, se fatte con le dovute garanzie per candidati e elettori, sono comunque un importante momento di democrazia, per la cui organizzazione va dato merito alla classe dirigente del Pd. E, viste le premesse, verrebbe da dire: oggi vinca… il Migliore (?!).