Tornano le culture politiche?

È possibile che una cultura politica, quella del cattolicesimo democratico e sociale, sempre decisiva in tutti gli snodi della storia italiana dal secondo dopoguerra in poi, sia oggi del tutto assente dal dibattito pubblico e dalla concreta dialettica politica del nostro paese? Come può un tale filone ideale ridursi ad una sorta di sub cultura utile solo per rivendicare seggi e candidature?

 

Giorgio Merlo

 

Con il progressivo esaurirsi del populismo demagogico, anti politico, giustizialista e manettaro del partito dei 5 stelle – sperando che sia il più rapido possibile – forse ritornano le culture politiche. Il che sarebbe una novità quasi rivoluzionaria nel nostro paese perchè non possiamo dimenticare che una delle ragioni costitutive del populismo qualunquista è stata proprio l’azzeramento radicale di tutte le culture politiche. Cioè di quei filoni ideali che sono stati centrali e decisivi per la costruzione e il consolidamento della nostra democrazia. E, soprattutto, per orientare e condizionare quelle culture di governo che hanno scandito e modulato le varie stagioni politiche del nostro paese dal secondo dopoguerra in poi.

 

Non a caso, il populismo nasce e si alimenta di una feroce e costante anti politica che individua proprio nella cancellazione delle diversità politiche e cultuali la sua ragion d’essere. E la naturale conseguenza di questa deriva anti politica e qualunquista prevede anche la soppressione della naturale e persin strutturale distinzione tra la destra, il centro e la sinistra. Del resto, quando prevale la sub cultura dell’”anno zero” e dell’azzeramento di tutte le culture politiche è del tutto naturale che la storica distinzione tra i progressisti e i conservatori, tra i riformisti e i liberisti e via discorrendo giunge al capolinea e viene del tutto azzerata. E così è stato in questi anni nella confusa, complessa, grigia e spenta politica italiana.

 

Ora, almeno così pare anche se è sempre bene diffidare delle conversioni politiche improvvise, misteriose e soprattutto collettive, pare che quel populismo non sia più così raggiante e vincente. Anche se, lo ripeto, quando la cifra distintiva di un partito era ed è sempre stato il populismo, è difficile, molto difficile, che da un giorno all’altro tutto muta, tutto cambia. Compreso l’intero orientamento dell’elettorato che per svariati lustri si è abbeverato a quella predicazione dogmatica martellante ed inesistente.

 

Ma, al di là del futuro del partito populista per eccellenza, cioè il partito di Conte e di Grillo, è indubbio che la politica può ritornare protagonista e centrale nel nostro paese solo se le singole culture politiche faranno nuovamente capolino nella cittadella politica italiana. Certo, adeguandole alla stagione contemporanea senza regressioni nostalgiche o passatiste. E riproponendole come chiave di svolta per reintrodurre categorie politiche, culturali e ricette di governo che non nascono solo dalla violenza verbale, dalla voglia di demolizione del passato e dalla sola volontà della conquista del potere demonizzando gli avversari e demolendoli sul versante personale e politico. Serve, cioè, una netta inversione di rotta anche solo rispetto ad un passato recente.

 

Per fare un solo esempio concreto, è possibile che una cultura politica che è stata sempre decisiva in tutti gli snodi più delicati della storia italiana dal secondo dopoguerra in poi, sia oggi del tutto assente dal dibattito pubblico e dalla concreta dialettica politica del nostro paese? Parlo della tradizione del cattolicesimo politico, popolare, sociale democratico che nel corso di vari decenni non solo ha prodotto una classe dirigente di grande levatura politico e di governo ma che ha contribuito anche a sciogliere nodi politici apparentemente inestricabili. Come può un filone ideale come quello che ho citato ridursi ad una sorta di sub cultura utile solo per rivendicare seggi e candidature in alcuni partiti? Come è possibile, pur di accontentare la deriva populista, demagogica e anti politica della moda passeggera del momento, evitare di parlare in pubblico per non apparire antimoderni e nostalgici? Perchè, alla fine, di questo si tratta.

 

Ecco perchè la fase politica che si sta aprendo nel nostro paese e che culminerà con le prossime elezioni politiche nazionali, non potrà più fare a meno di quei valori, di quelle prassi, di quei pensieri e di quelle culture che hanno costruito la cornice democratica, costituzionale e riformista del nostro paese. Ne va della qualità della nostra democrazia e del futuro delle nostre istituzioni. Altrochè non disturbare i dogmi del populismo nostrano per evitare di essere retrogradi e fuori moda e fuori tempo!