Noi cattolici siamo di fronte al permanente dilemma: come restare fedeli agli orientamenti pastorali della Chiesa e alle nostre responsabilità politiche? Se da un lato, non possiamo che accogliere con rispetto le indicazioni del Pontefice, coerenti con i fondamentali della nostra dottrina sociale e per noi degli insegnamenti sturziani in materia, dall’altro, dobbiamo essere rispettosi degli impegni che derivano all’Italia dalla sua partecipazione all’Unione europea e alla NATO.

A riguardo della guerra russo ucraina, su un dato di fatto indiscutibile, ritengo siamo tutti d’accordo: Putin è l’invasore e l’Ucraina la vittima. Sui modi per concorrere alla pace le posizioni sono molto diverse, anche se prevale la dicotomia tra quanti intendono sostenere militarmente i resistenti e quanti si professano pacifisti senza se e senza ma. Fedele alla nostra storica tradizione democratico cristiana a sostegno dell’Unione europea e dell’alleanza atlantica, mi sono fin dall’inizio schierato tra coloro che hanno scelto la linea del governo Draghi, coerente con la fedeltà ai nostri trattati comunitari e della NATO.

Dopo il netto pronunciamento di ieri di Papa Francesco contro i governi che hanno deliberato l’aumento delle spese militari al 2%, come da molto tempo richiede la NATO, vivo un serio imbarazzo. Che fare allora per aiutare i resistenti valorosissimi dell’Ucraina, novelli Davide contro il gigante russo Golia? Oltre alle sanzioni che UE e USA hanno stabilito in forme assolutamente inedite e ampie, o si aiutano inviando loro armi e munizioni tenendo conto della superiorità incommensurabile tra le dotazioni dei due contendenti, o si ricorre alle rogazioni e alle marce per la pace che dovrebbero favorire la diplomazia.

Papa Francesco si è nettamente dichiarato per queste ultime opzioni, dopo che il segretario di Stato, card. Parolin, aveva ammesso la legittimità della difesa operata dagli ucraini vittime dell’occupazione putiniana e del loro sostegno anche militare. Comprendo e condivido il richiamo al vangelo di Luca che avrebbe consigliato al presidente Zelensky di fare bene i conti prima di decidere di sostenere l’impraticabile scontro, così come, ovviamente, quello di Papa Francesco ispirato ai valori fondamentali della nostra fede cristiana. Ricordo anche la nostra Costituzione che all’art. 11 stabilisce: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, anche se all’art.52 pone la difesa della patria quale “sacro dovere”. Un dovere che non vale solo per noi, ma anche per i valorosi resistenti ucraini.

Furono temi molto dibattuti all’assemblea costituente, resi drammaticamente attuali da questa infame guerra. Nella difficilissima, possibile azione diplomatica, richiesta alla Santa Sede dallo stesso presidente ucraino, è ragionevole ritenere che la netta presa di posizione neutrale di Papa Francesco serva anche a favorire tale opportunità, resa tanto più difficile dopo che la chiesa ortodossa russa, divisa dall’altra chiesa di Kiev, si è posta come sostegno morale e culturale al dominio putiniano della Russia.

Noi cattolici siamo di fronte al permanente dilemma: come restare fedeli agli orientamenti pastorali della Chiesa e alle nostre responsabilità politiche, che discendono dalla nostra azione autonoma e pienamente responsabile di laici impegnati nella “città dell’uomo”? Se da un lato, non possiamo che accogliere con rispetto le indicazioni del Pontefice, coerenti con i fondamentali della nostra dottrina sociale e per noi degli insegnamenti sturziani in materia, dall’altro, dobbiamo essere rispettosi degli impegni che derivano all’Italia dalla sua partecipazione all’Unione europea e alla NATO. Infatti, NATO e UE sono due scelte che appartengono alla storia, compiute da governi a guida DC e hanno costituito le fondamenta della politica estera dell’Italia dal secondo dopoguerra sino ad oggi, a parte la triste caduta russo cinese del governo giallo-verde di Conte e Salvini. 

Sappiamo che, comunque finisca questa tragica guerra, non saranno più gli equilibri di Yalta a sopravvivere. Essi, infatti, sono stati fatti saltare da questa scelta scellerata di Putin, contraria a ogni regola e principio di diritto internazionale. Esistono molti motivi per i quali noi cattolici democratici e cristiano sociali siamo critici con l’Occidente dell’età della globalizzazione. Superato il principio del NOMA (Non Overlapping Magisteriae), non possiamo condividere una situazione nella quale politica ed economia reale sono ridotte al ruolo servente del potere dei gruppi finanziari dominanti; così come non possiamo condividere il prevalere di un relativismo morale che intende sconvolgere i più elementari diritti naturali su cui si fonda tutta la nostra eredità morale, culturale e sociale, elevando a diritto ogni desiderio individuale. Non possiamo accettare, a fortiori, che l’8% della popolazione mondiale che detiene il 90% delle risorse del pianeta giochi a fare la guerra Sappiamo anche, però, che non potremo mai rinunciare ai valori di democrazia, giustizia e  libertà che, insieme alle altre culture di ispirazione democratica, laica e liberale abbiamo contribuito a iscrivere nel patto costituzionale. 

C’eravamo illusi con il nostro Beato Giorgio La Pira, che, nell’età nucleare, non valesse più il principio “si vis pacem para bellum”. Putin sta dimostrando che questo non solo è possibile, ma è disponibile ad andare avanti sino alla fine; sino, cioè, a quella che sarebbe la fine del mondo. Non sono tempi di scelte facili, specie per noi cattolici divisi tra fede e realismo politico, eppure, come ci ammoniva Aldo Moro: questo è il tempo che c’è dato di vivere. Parteciperemo a preghiere e a marce della pace, non mancando però di sostenere gli impegni internazionali del Paese. E contiamo fiduciosi sul ruolo che il Santo Padre potrà assumere per por fine a questo immane massacro.