Tra Meloni e Schlein, tutto lo spazio di un progetto popolare.

Bisogna respingere il disegno di instaurare la peggior forma di bipolarismo possibile, quello tra destra-destra e sinistra radicale. Il programma svolge un ruolo fondamentale. Il centro deve collocarsi con chiarezza dalla parte giusta della storia, con un progetto popolare per il nostro tempo.

“Tra la Meloni e la Schlein c’è un’Italia che chiede di essere rapprentata”, ci ha ricordato ieri Giuseppe Fioroni su Piattaforma Popolare-Tempi Nuovi, indicando il compito e la sfida per i processi politici che stanno avvenendo nell’area di centro, sia come riaggregazione dei Popolari, sia come tentativo più ampio di dar vita a un soggetto politico unitario in questa area sul modello della Margherita. Un soggetto che respinga il disegno di instaurare la peggior forma di bipolarismo possibile, quello tra destra-destra e sinistra radicale, e che sappia invece cogliere le effettive prospettive alternative che sembrano delinearsi sia nella politica italiana che a livello internazionale. A questo proposito sono tre gli aspetti da affrontare.

La prima caratteristica distintiva di questo centro in via di costruzione credo debba consistere nell’essere popolare e non populista. Alternativo a tutti i populisti, di destra e di sinistra, sia a quanti agitano problemi pur reali più per amplificare l’incertezza che per risolverli, sia a quanti paiono voler più accompagnare lo spegnimento della classe media con l’eutanasia dell’assistenzialismo che affrontare in modo responsabile i cambiamenti. In secondo luogo, a mio avviso, il progetto di questo nuovo centro dovrà collocarsi distintamente nei nuovi equilibri di potere che i processi di internazionalizzazione dei mercati hanno determinato. La globalizzazione e la rivoluzione tecnologica hanno fatto saltare quel compromesso fra capitalismo e democrazia che è stato alla base della rinascita post seconda guerra mondiale dell’Italia e dell’Europa. Gran parte del potere effettivo, nell’economia, nel sapere, nei media nel mondo occidentale è controllato da poche élites le quali fortunatamente manifestano significative distinzioni riguardo al modello di società da costruire. 

La scelta del centro, a mio giudizio, dev’essere chiara su questo: c’è una élite che non considera la democrazia un simulacro da sostituire con i crediti sociali, che ha saputo mantenere una visione umanistica e non transumana della società, e con questa si può e si deve dialogare alla ricerca di adeguate mediazioni con le attese e gli interessi dei ceti medi e popolari. Per usare un’etichetta, rimane l'”agenda Draghi” la cornice più consona in cui  collocare l’iniziativa del centro. La medesima agenda, non dimentichiamolo mai, che, per ora, ha evitato al governo Meloni problemi di credibilità internazionale e sembra renderlo in grado di affrontare una situazione sociale ed economica complicata in modo concreto seppur migliorabile.

In terzo luogo credo che al centro occorra una visione programmatica di ampio respiro soprattutto su tre grandi temi chiave della nostra epoca che corrispondono ad una triplice transizione in atto: quella ecologica, quella digitale (e presto quantistica) e quella verso un mondo che, volenti o nolenti sta divenendo multipolare. Sul terzo tema, quello internazionale, la cosa più necessaria, insieme all’unanime sostegno all’Ucraina, sembra esser quella di caratterizzarsi per fare in modo che il nostro Paese eserciti tutta la sua capacità di persuasione con gli Alleati per immaginare un assetto globale post bellico che sia in qualche modo accettabile anche al resto del mondo, in cui vive l’85% della popolazione globale. 

Le altre due questioni sono quelle in cui il centro può fare risaltare in modo nitido la diversità da una sinistra, ormai lontana dal popolo che sembra seguire acriticamente il progetto tecnocratico, malthusiano, transumanista imposto da certe oligarchie economiche. Ribadendo la necessità della gradualità e della sostenibilità anche sociale di una ecologia che voglia esser “integrale”, e respingendo l’estremismo ideologico green e il relativismo antropologico di cui è portatore, che impone piani improntati a un rigido dirigismo fuori dalla realtà e contrari a un sistema di economia sociale di mercato. Anche nel campo della transizione digitale il centro è auspicabile si caratterizzi per l’uso delle tecnologie come strumenti e non come fini, a servizio della partecipazione alla vita sociale e lavorativa, della riduzione dei divari sociali e territoriali, abbandonando l’ossessione della sinistra per il controllo, il tracciamento, la sorveglianza come valori in sé.

A mio avviso questi ambiti costituiscono ora una sorta di riedizione della scelta di campo con la quale gli elettori si confrontarono nei decenni iniziali della Repubblica. Se in quei tempi la scelta era: di qua il mondo libero, di là Stalin, nella nostra epoca la scelta che poi determina in gran parte dell’elettorato la decisione di voto (o di non voto consapevole) è fra una visione di società aperta al futuro, che non asfissia le persone, che non minaccia la sicurezza della classe media, che usa il buonsenso per gestire i cambiamenti, e dall’ altra parte una visione di società in cui tutto appare pianificato, controllato, irrigidito su una distopia ideologica senza badare alle novità della storia e senza tenere nel giusto conto l’umanità, l’esser persona, dei cittadini.

Prima della necessaria piattaforma programmatica credo serva innanzitutto al centro collocarsi con chiarezza dalla parte giusta della storia, essendo questa la prima cosa che guarda l’elettore medio, con un progetto popolare per il nostro tempo, alla cui definizione ai cattolici democratici, sociali e popolari tocca un ruolo insostituibile.