Articolo già pubblicato sulla rivista “DPU- DIRITTO PENALE e UOMO – Rivista internazionale di studi giuridici e antropologici

Sono trascorsi 10 anni dalla scomparsa di Yara Gambirasio, una vicenda umana che aveva coinvolto emotivamente tutti noi, dal doloroso epilogo.

Sono molti i “minori scomparsi”: pochi ritornano, di molti vengono restituite le spoglie, della maggior parte si perdono le tracce.

Vorrei dedicare a questi bambini e adolescenti questa riflessione, che segue la precedente sui “Minori senza pagina”, oserei dire… la completa.

Sono storie tristi e spesso violente del nostro tempo: da sempre infanzia e adolescenza soccombono in un mondo non a loro misura.

Nel contesto antropologico contemporaneo peraltro le nuove tecnologie compaiono sempre più spesso sullo sfondo di queste vicende che riguardano i minori.

Mai come nel presente molti minori sono collocati al centro della cronaca ma non sempre per  buone notizie. Le numerose vicende che riguardano storie di adolescenti vittime di violenza sono diffusamente vissute come penetranti eventi mediatici, suscitano sentimenti, emozioni, paure, angosce, speranze, disperazione e dolore. 

Spettacolarizzazione mediatica non scevra da curiosità morbose, alternate a passioni avvertite, pietà e attesa, condanna e assoluzione, indagini parallele, anticipazioni, notizie frettolose di vita e di morte, irruzioni intrusive nelle intimità personali e familiari, desiderio di riserbo, dignità, presenze che assumono improvvisamente le sembianze dei ricordi, minori svaniti nel nulla: li invochi e non rispondono, li chiami e non ci sono.

Una volta, i contesti dell’ infanzia erano forse più rassicuranti da vivere, anche le ombre erano amiche, i pericoli lontani, le notizie sempre altrove. 

Ora, invece, gli orizzonti della quotidianità si allargano e persino i cortili, la campagna, i dossi e gli alberi, assumono sembianze nuove e allora scopri che gli stradoni, i manufatti e il verde della periferia diventano luoghi misteriosi e saturi di angosce nuove.

Posti dove bambini e adolescenti, in giro da soli, possono esser preda di mani ignote e assassine.

Penso al brivido che prova un genitore quando – cercando il contatto attraverso il cellulare – ascolta solo squilli che cadono nel vuoto, quando il nulla di una mancata risposta non spiega niente ma può far pensare al peggio, quando il «si prega di riprovare più tardi» sposta e prolunga l’ansia e l’angoscia senza la certezza di un limite oltre il quale tutto torni come prima e – parlando e ascoltando – si possano fugare le ombre della paura e dell’assenza.

Nelle storie moderne – di vita e di morte – la dimensione tecnologica assume una presenza sempre più inquietante: una volta i bambini si perdevano nel bosco, ora sono inghiottiti nella “rete”.

Nell’epoca della comunicazione facilitata dalle nuove tecnologie, dove ci si può sentire, vedere, parlare accorciando le distanze, annullando le assenze, affidando le parole, i pensieri e le immagini ad una piccola scatoletta magica qual è il cellulare, per cercare la rassicurante immediatezza del contatto che è di per sé già messaggio, diventano ancor più agghiaccianti quegli squilli senza risposta, che cadono nel vuoto di un’attesa, che si fanno timore, ansia, angoscia, che anticipano sospetti e sgomento. 

Un silenzio, un vuoto, un nulla inaccettabili al cuore.

I minori scomparsi sono inghiottiti in un mondo ostile e crudele, che li aspetta al varco per divorare la loro innocenza, per impossessarsi della loro vita.

Crescono esponenzialmente di numero (In Italia nel 2019 le denunce di scomparsa di minori sono state 8.331,  di cui 5.376 stranieri e 2.955 italiani – Fonte “Telefono azzurro”) con destini diversi: come scritto in esordio pochi fanno ritorno, di molti vengono restituiti dalle indagini o dal destino i corpi, ma la maggior si perde nel nulla.

Alcune vicende riaffiorano a distanza di anni: per la tenacia degli investigatori o per l’irriducibile dolore dei parenti che non si danno per vinti e vorrebbero avere almeno la consolazione di un posto dove portare un fiore, recitare una preghiera, rivivere intensamente i ricordi, posare una foto sbiadita dal tempo. Ma il nulla avvolge la dissolvenza di storie brevi e imperscrutabili, lasciando la sensazione di assenze mai spiegate.

Come scriveva Attilio Bertolucci, in una delle più belle e struggenti poesie del 900: «Assenza, più acuta presenza. Vago pensier di te, vaghi ricordi turbano l’ora calma e il dolce sole. Dolente il petto ti porta come una pietra leggera».

La simbologia poetica tratteggia ciò che non si può altrimenti descrivere: sono vite troppo brevi per esprimere una loro pienezza esistenziale, la memoria le afferra e le riporta in modo labile ed effimero all’intensità del presente che resta per un legame di sangue, un affetto indicibile, una nostalgia inesprimibile che non possono essere fagocitati dall’oblio del fiume carsico della vita che scorre e sedimenta, come una pietra nascosta nel cuore, un dolore che non va via, una presenza che resta.