TRONTI, “IL PD DEVE SCEGLIERE, IL CENTRO-SINISTRA NON ESISTE PIÙ” / Intervista a formiche.net

Il Pd ha molta strada da fare per riconquistare il popolo perduto secondo Mario Tronti, filosofo e padre dell’operaismo italiano. La fusione a freddo delle due anime (ex e post-comunisti con ex e post-democristiani) non poteva funzionare, e ha lasciato campo libero a una lunga fase demagogica e di anti-politica.

Giulia Gigante

Comunista, schmittiano per compensazione e occhio critico puntato sul mondo. Sono sufficienti poche parole per descrivere Mario Tronti perché la sua voce è chiara. Secondo Tronti, chi invece non sa più come parlare è il Partito Democratico, che dovrebbe porsi delle priorità: partire da una classe dirigente all’altezza dei tempi, rappresentare una parte della società, troncare con i Cinque Stelle, conoscere il proprio nemico e farsi trovare intellettualmente pronto difronte alle sorprese che riserva “il mondo grande e terribile”.

Partiamo da una parola: sinistra. Cosa indica, oggi, e quali interessi dovrebbe rappresentare questa parte per poter essere definita tale?

Da com’è messa la sinistra, non solo in Italia ma in Europa e nel mondo occidentale, credo che si tratti di una parola politicamente debole, deteriorata e neutralizzata. Difatti, molti affermano: “non c’è più la sinistra, non c’è più la destra”.  In realtà, le due postazioni contrapposte esistono ancora. Però, nella concezione generale questo termine non evoca qualcosa di preciso, tant’è vero che coloro che si reputano di sinistra preferiscono dirsi “progressisti”. Bisognerebbe fare uno sforzo creativo per inventare un’altra parola forte come quelle di una volta: socialismo, comunismo. Parole forti, appunto, e riconoscibili, capaci di trasmettere un’identità.

Mentre, oggi, quando parliamo di “sinistra” è necessario spiegare che cos’è, che cosa vuoi, da che parte stai. Penso che vivere in una società capitalistica significhi vivere in una società divisa. E un tempo, la divisione si esplicitava attraverso le grandi classi sociali. Per esempio, il Partito Comunista era il partito della classe operaia, almeno fino a Berlinguer perché successivamente questa posizione si diluirà. Oggi, la classe operaia non è certo scomparsa, ma il punto è che gli operai non fanno più classe, non fanno più parte di un’organizzazione.  E anche la classe contrapposta si è molto frantumata. Insomma, con la fine del capitalismo industriale la differenza radicale, la contrapposizione di classe si è molto indebolita…

Il Pd si accinge a celebrare il suo congresso. Ci aspettavamo un cambio radicale. Cosa serve per avviare una vera fase costituente della sinistra e cosa serve per ottenere una rottura?

Ultimamente, mi sono convinto di una cosa: c’è una doppia crisi a sinistra, dell’alto e del basso. In primis, una crisi di classi dirigenti. Il ceto politico della sinistra ha subito un’involuzione lenta, graduale, quasi definitiva. Parliamo di dirigenti che non possono più vantare un riferimento reale, sociale, di classe, un punto di vista di parte. Inoltre, il vero difetto del Pd è di non essere un partito, ma piuttosto un movimento di opinione. Perché un partito è un’organizzazione di parte, non un’organizzazione che fa l’interesse generale…quello fingono di farlo i capitalisti. Poi, c’è anche una crisi di popolo. Abbiamo un mondo del lavoro frantumato e preda di un disorientamento politico di massa, visibile a occhio nudo ad ogni elezione.

Ormai gli elettori, vittime di una comunicazione sfacciatamente demagogica, votano inseguendo le ultime novità; prima si è andati dietro a Berlusconi, poi  a Grillo, poi a Salvini, adesso è il turno di Giorgia Meloni. Io non sono mai stato uno spontaneista. Sai, nel movimento operaio vigeva una distinzione tra i luxemburghiani che preferivano partire dalla spontaneità delle lotte e i leninisti, i quali ritenevano che bisognasse prima creare un soggetto politico (un partito) in grado di guidare le lotte e dopo, quando possibile, una frattura rivoluzionaria. E allora, penso che ripartire dal basso, come molti generosamente vogliono fare, dalla partecipazione, dal civismo, dalle primarie, dall’opinione pubblica, sia insufficiente.

Oggi, il popolo è stato spodestato dalla “gente”, unificata virtualmente attraverso i social, e la funzione di questi non è quella di orientare ma di disorientare. Quindi, sono convinto che bisogna partire dall’alto. Risulta vitale costruire una classe dirigente forte, decisa, che riscopre la propria parzialità dentro questa società divisa, e la rivendica e su questa base riorganizza il fronte mediante il conflitto sui temi caldi dell’agenda sociale. Tuttavia, qui, vediamo riemergere il problema grande e insolubile: dove sono questi uomini e queste donne capaci di fornire un orientamento alle masse?

Tutti i candidati al congresso democratico intendono mettere al centro della propria agenda politica il lavoro. Eppure, il Partito Democratico è il quarto partito fra i lavoratori. Quando e perché è crollato questo legame e, soprattutto, come ricostruire una connessione con la classe lavoratrice e con il blocco sociale storico della sinistra?

Dunque, la domanda è impegnativa perché il mondo del lavoro è profondamente cambiato. Questo non da oggi, ma da molti decenni. Dobbiamo fare sempre riferimento e ritornare a quella svolta di capitalismo moderno avvenuta dagli anni Ottanta in poi. A metà degli anni Settanta, si fece corrispondere la famosa riunione della cosiddetta Trilaterale (Stati Uniti, Europa, Giappone) alla fine del grande Novecento politico. Irruppe l’idea dell’andare oltre e questo comportò il deperimento del capitalismo connotato dalla centralità della grande industria e la nascita di un capitalismo a centralità tecno-finanziaria, e quindi la fine, con neoliberismo, dell’intervento statale in economia e del welfare.

La reazione ai trent’anni gloriosi, dal ’45 al ’75, si materializzò in una forte contestazione delle conquiste dei lavoratori fin lì raggiunte. La Trilaterale cominciò a parlare di un eccesso di domande che bisognava arginare, poiché si trattava di rivendicazioni troppo avanzate, troppo pericolose. Da quel momento, il tramonto del capitalismo industriale segnò la fine della centralità operaia e, di conseguenza, il mondo del lavoro si frantumò in tanti rivoli. Non più il lavoratore salariato al centro di un blocco sociale. È cresciuto il lavoro nei servizi, è cresciuta la figura del lavoratore autonomo che ha avute tante generazioni (di prima, di seconda, di terza); è riemerso l’esercito di riserva che è stato ed è tutt’ora fondamentalmente rappresentato dal precariato, dai contratti a tempo determinato.

Cioè il mondo del lavoro è molto difficile da riunificare e il sindacato lo sa bene. Si pensi alle grandi fabbriche, oggi mutate in luoghi post-industriali. Pensiamo ai grandi capannoni della Fiat dove oggi si organizzano la fiera del libro, convegni intellettuali, mostre d’arte. Dell’antica concentrazione operaia non vi è più traccia. Tra l’altro, in Italia è emersa la rete di piccole e medie industrie, ossia di un lavoro orizzontalmente stratificato che risulta arduo unificare.  Ripeto il sindacato fa grande fatica, e non a caso, ormai, anche la stessa CGIL (senz’altro il sindacato più vicino a un’idea di sinistra) è più un sindacato dei pensionati che dei lavoratori.

E se fatica il sindacato a rappresentare il mondo del lavoro figuriamoci il partito politico…

Già, eppure questa riunificazione non è impossibile. Appare impossibile perché né il sindacato né il partito si impegnano in un’azione che miri a riunificare questo mondo del lavoro, bensì lo rappresentano così com’è: stratificato e disperso, a volte in modo corporativo. Ma questo non basta, perché così il lavoro non conta, così il lavoro non ha forza. Oggi si dice: non esiste il lavoro, esistono i lavori. Una pluralizzazione che implica una operazione di neutralizzazione. Prendiamo questo Pd in gran tempesta. Qualcuno propone di inserire la parola “lavoro” nel nome del partito.

Una decisione che reputo di buon senso, forse utile, anche se non risolutiva. Ma ecco che  subito si è scatenato il putiferio: queste sono categorie novecentesche, così facendo torniamo indietro, ecc..! Io, al contrario, sostengo che tra le persone normali il lavoro è ancora centrale nelle loro vite. Voglio dire, le famiglie di cosa parlano a casa? Del lavoro che c’è e del lavoro che non c’è, della condizione di precarietà che attanaglia i loro figli, del lavoro femminile che è del tutto minoritario, del salario che non è sufficiente per arrivare alla fine del mese. Di questo parla, di questo vive una famiglia! Piuttosto, mi piacerebbe sapere dove vivono coloro che classificano il lavoro come un qualcosa di vecchio e superato.

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https://formiche.net/2023/01/centro-sinistra-pd-tronti/
[Titolo originale dell’articolo/intervista: O centro o sinistra. Per Tronti il Pd deve scegliere da che parte stare]