Ucraina, un anno dopo. La via che porta alla pace è ancora ostruita.

Anche lo scenario del dopoguerra - prima o poi le armi taceranno - è carico di dolore. Le conseguenze del conflitto si avvertiranno pesantemente negli anni a venire. Bisogna capire se e quando la disperata voglia di una vita normale prevarrà sull’odio accumulato nei confronti del nemico.

Ad un anno dall’avvio del conflitto la via che conduce alla pace è ancora ostruita, in Ucraina. A ben vedere, poi, non si sa esattamente neppure quale sia, la strada giusta per raggiungere la meta. 

Un ragionamento – necessariamente a grandi linee – che si ascolta sempre più spesso in occidente (però prevalentemente a livello di opinione pubblica, meno a quello della classe politica) è il seguente: l’Ucraina deve concedere agli oblast del Donbass un’ampia autonomia (l’esempio delle regioni italiane a statuto speciale viene preso in considerazione, prendendo come riferimento l’Alto Adige) con adeguate garanzie, anche linguistiche, per la popolazione russofona ivi residente. Inoltre, Kyiv deve rassegnarsi a non considerare più la Crimea parte della nazione ucraina, certificando formalmente una situazione ormai consolidatasi da un decennio. In compensazione di questa parziale decapitazione territoriale gli Stati Uniti, soprattutto, promuoverebbero e finanzierebbero un grande piano di ricostruzione del paese e Bruxelles accelererebbe sensibilmente i tempi necessari per giungere all’integrazione dell’Ucraina nell’Unione Europea. Da parte sua la Russia, accettando questa soluzione, otterrebbe la fine delle pesanti sanzioni di varia natura cui è stata sottoposta dagli occidentali oltre naturalmente ad un riconoscimento internazionale dei suoi diritti territoriali sulla Crimea, essenziale accesso al mare (ancorché sottoposto al “collo di bottiglia” dello stretto dei Dardanelli, controllato dalla Turchia) ambìto da Mosca sin dalla sua conquista ad opera di Caterina la Grande.

Centinaia di migliaia di morti e feriti, un territorio devastato, milioni di dollari sprecati in armamenti per arrivare ad una soluzione che avrebbe potuto essere ottenuta ad un tavolo negoziale con il buon senso e la buona volontà, sostengono però in molti. Senza considerare che la soluzione ipotizzata, un po’ semplicisticamente, non tiene nel dovuto conto la realtà per come si è configurata dopo un anno di devastazioni, degli animi prima ancora che dei corpi. Già, perché sarà assai arduo sanare le ferite profonde che sono state inferte nelle menti delle persone durante questo anno terribile. Soprattutto dal lato ucraino. Sono ferite che non verranno dimenticate per generazioni. Al punto che perfino nel russofono Donbass sono molti i cittadini che non si sentono più “amici” dei russi.  E quelli che lo sono rimasti hanno lasciato la loro terra per emigrare in Russia. Qui sta il punto, prima ancora di altre considerazioni, di natura politica, che pure contano e non poco. Quanto (e quando) la disperata voglia di una vita normale, di pace, prevarrà sul desiderio di vendetta, sull’odio accumulato nei confronti del nemico che ha insanguinato l’esistenza di un intero popolo. È con questi sentimenti che il presidente Zelensky dovrebbe confrontarsi nel momento in cui si dovesse sedere al tavolo delle trattative.

Ad oggi, peraltro, siamo ben lontani da questa possibilità. Nei discorsi dei due presidenti, quello ucraino e quello russo, prevale lo spirito guerresco e non si intravede certo un margine di possibile accordo. Raggiungeremo gli obiettivi che ci siamo prefissi per salvare la Russia dall’aggressione dell’Occidente, dice Putin; riconquisteremo ogni lembo di terra ucraina, ribatte Zelensky.

Chi invoca la pace spera allora nella forza di convincimento che i due grandi del mondo potrebbero finalmente attivare nei confronti dei contendenti. E’ in effetti questa l’unica speranza, al momento; ma non è ancora il tempo, se mai ve ne sarà uno. Come si è visto con i viaggi europei di Biden (sul quale merita di soffermarsi e quindi di tornare) e del plenipotenziario cinese per la politica estera Wang Yi, portatore di un “piano di pace” poi esposto dal Presidente Xi Jinping dalle premesse palesemente inaccettabili per gli ucraini. E così, tristemente, all’inizio del secondo anno di guerra sono rimasti in molti a ritenere che essa, purtroppo, durerà ancora a lungo.

La via che conduce alla pace è ancora ostruita. L’autostrada per l’inferno, al contrario, è sgombra da ogni ostacolo.