In politica, come anche nella vita, contano le realizzazioni ma contano pure i sogni. O, meglio, le emozioni, le speranze che si sanno suscitare. Non per caso ogni grande leader politico ha saputo muovere passioni, oltre che promuovere decisioni e concretizzare azioni.

Così è per le Istituzioni. A maggior ragione per quelle come l’Unione Europea non pienamente compiute e quindi non completamente comprese e vissute dai cittadini, in ispecie da quanti – la grande maggioranza – non ne seguono (per motivi professionali o per interesse personale) le vicende.

Ebbene, ora la UE è giunta ad un momento nel quale o saprà suscitare un sentimento, un moto di fiducia o si avvierà ad un mesto declino. Che sarà – questo i sovranisti non lo vogliono comprendere – non solo dell’istituzione (come essi sperano) ma delle singole nazioni nel contesto globale. Con la caduta di redditi conseguente, oltre che di prestigio e ruolo nel mondo.

Giovedì prossimo, il 23 aprile, i Capi di Stato e di Governo dei Ventisette dovranno non solo decidere le tecnicalità utili per affrontare la recessione indotta dal COVID-19. Non solo dovranno individuare una strategia politica comune all’altezza dell’enorme difficoltà del momento. Soprattutto essi dovranno dimostrare che, al di là di alcune differenze d’opinione, esiste comunque una volontà comune, uno spirito solidale per affrontare insieme, uniti, una congiuntura mai così difficile in questi oltre 60 anni di storia comunitaria. Glielo ha detto in chiaro nel messaggio pasquale Papa Francesco: “il destino dell’Europa dipenderà dalla risposta che darà alla pandemia”.

Questa volontà, se genuina, sarà percepita dai cittadini e saprà tramutarsi in azione. Al contrario senza di essa non potrà che aumentare, e non poco, la disaffezione e alla lunga persino l’ostilità nei confronti di Bruxelles e di quanto essa rappresenta. E’ inutile nasconderselo: in Italia, ad esempio, già oggi – dopo le parziali e spesso fuorvianti informazioni dei media sul “non voluto”, sul “non fatto” dall’Unione invece che sul non poco che al contrario è stato deliberato – il 70% dei cittadini ha scarsa o nulla fiducia nella UE (fonte: DEMOS, marzo 2020).

Ecco perché una scelta solidale ben comunicata dai massimi rappresentanti degli Stati e della Commissione (un MES senza condizionalità spiegato in maniera semplice facilmente comprensibile per tutti; o meglio ancora l’emissione di appositi Eurobond legati al COVID-19) saprebbe rilanciare alla grande l’Unione e saprebbe anche porre sotto la giusta luce gli interventi già decisi, che non sono poca cosa ma che tale appaiono sia perché non conosciuti a livello popolare, sia perché sommersi dalla propaganda sovranista, sia perché ad oggi rimasti invischiati dal tecnicismo (obiettivamente se non si è degli esperti è difficile capirci qualcosa).

E’ bene ricordarli, ma non è sufficiente. Dall’acquisto di titoli da parte della BCE sino a 110 miliardi, alla sospensione del Patto di Stabilità e Crescita con le sue regole di rapporto sul PIL di deficit e debito; dall’abolizione della proibizione degli aiuti di Stato al programma di finanziamento della BEI sino a 200 miliardi per le piccole e medie imprese; dai 12 miliardi di fondi destinati nel bilancio 2014-2020 alle politiche strutturali dall’Italia non utilizzati e ora invece resi nuovamente disponibili alla cassa integrazione comunitaria dotata di 100 miliardi. Sino ai 240 miliardi del MES (37 per l’Italia) da destinare in spese sanitarie e di prevenzione del contagio oggi immersi in un dibattito ideologico e soprattutto propagandistico del quale il Paese farebbe volentieri a meno.

Interventi importanti. Ma non sufficienti se privi di un parallelo messaggio concreto e simbolico allo stesso tempo. Solo così la prossima annunciata Conferenza sul futuro dell’Europa avrà senso e prospettiva invece di trasformarsi nel triste evento finale di un’idea nobile ma decaduta.