Lo si è detto e scritto tante volte: la vicenda libica è la plastica dimostrazione di quanto l’UE necessiti di una politica estera comune e al contrario non solo continui a non averla ma addirittura perseveri in divisioni interne che inevitabilmente producono danni agli interessi europei.

Come si sa, in politica non esistono spazi vuoti: per cui se l’Unione gioca in Libia di rimessa e divisa il minimo che può accadere è che qualcun altro cerchi di occupare lo spazio, di riempire il vuoto. Lo si diceva, lo si temeva. Ora è avvenuto. I futuri equilibri di questo Stato arbitrariamente costruito dalle (ex) potenze europee ai tempi delle colonie, che poteva essere tenuto unito solo da una dittatura feroce, ora saranno determinati da Russia e Turchia, sostenitrici delle due principali fazioni in lotta sul territorio ma a loro volta impegnate in un fitto e complesso dialogo (con annessa trattativa) che comprende altri luoghi, altre pedine dello scacchiere mediterraneo, uno scacchiere che dovrebbe interessare molto all’Europa, essendo le acque del Mare Nostrum per metà acque europee.

Nel giro di pochi mesi, mentre il mondo veniva progressivamente investito dall’emergenza COVID-19, la Turchia ha invertito il corso degli eventi bloccando l’avanzata verso Tripoli delle truppe del generale Haftar e aiutando il governo di Fajez al-Sarraj (originariamente sostenuto, ma solo a parole, dall’Italia oltre che dall’ONU) ad avviare una controffensiva orientata a recuperare porzioni sempre più ampie di territorio. Quindi un attore, Recep Tayyip Erdogan, sino a ieri inesistente in quel teatro è oggi uno dei suoi dominus. Un attore esigente: è datato solo pochi mesi (novembre 2019) l’accordo fra Tripoli e Ankara per costituire “zone economiche esclusive” nel Mediterraneo orientale (con le annesse attività estrattive) che ha preoccupato due paesi membri della UE (Grecia e Cipro), oltre a Israele e a importanti player europei del settore energetico.

Dall’altra parte non è che Putin sia rimasto a guardare: posto che il suo primario interesse mediterraneo resta la Siria, e posto che il sostegno offerto ad Haftar è stato per interposta milizia (quella mercenaria del Wagner Group) ora il Cremlino – consapevole delle difficoltà sempre più evidenti del generale della Cirenaica – riprende un dialogo mai interrotto con il Sultano per individuare una soluzione che possa soddisfare entrambi. La creazione di due stati libici, uno a ovest sostenuto dai turchi e uno a est appoggiato dai russi (e dagli egiziani) non è più solo un’ipotesi di scuola. E’ una concreta possibilità.

E in questo risiko dal quale sono praticamente esclusi, gli europei riescono a rimanere divisi: perché se l’Italia resta con al-Serraj (ma senza più influenza effettiva, anche in seguito al pasticciato tentativo di aprire qualche tempo fa un canale di trattativa con Haftar) la Francia e ora pure la Grecia rimangono al fianco del generale, legato però in primis ai russi e, in seconda battuta, agli egiziani. Una divisione storica dettata da rivalità energetiche che sta generando un fallimento epocale, considerati gli interessi in gioco. Ma che per l’Italia rischia d’essere anche un danno economico-energetico gigantesco, vista la sua dipendenza dal petrolio ma soprattutto dal gas libico. E col pericolo aggiuntivo di un controllo altrui del possibile aumento incontrollato dei flussi migratori, una volta superata la crisi sanitaria innescata dal Coronavirus. Guarda caso magari sotto il controllo di quello stesso Erdogan che si è fatto pagare dalla UE sei miliardi di euro per trattenere i migranti siriani in fuga verso l’Europa. Che si prepari al bis?