Un ferragosto diverso

Caldo: fiammata intensa, effimera. Un abbaglio stordisce. La lucertola gode il suo tempo e si nasconde. L’aria è ferma, avvolge i pensieri nel suo abbraccio incolore. Lampi di passato, afrori, languori tra i rovi della vita: l’estate inganna e trasmigra, bugiarda.

Neanche facendo ricorso alle teorie psicologiche della Gestalt , che cerca di spiegare la realtà come insieme indistinto piuttosto che somma delle sue parti, valorizzando la percezione fenomenica del mondo come processo immediato, non preceduto da alcuna sensazione, riusciremmo a definire lo sconquasso esistenziale, emotivo e comportamentale determinato nel nostro universo antropologico dal dirompente tsunami pandemico che ha invaso e pervaso il mondo.

Ci sono state date spiegazioni di ogni tipo ma nessuna è riuscita finora a decifrare compiutamente l’eziopatogenesi del male, la sua origine, la sua portata, la presumibile durata: abbiamo appena il tempo di percepire e cogliere un insieme indistinto di alterazioni, negli stili di vita, nella quotidianità destrutturata, nelle relazioni umane resettate, nell’organizzazione della nostra presenza in rapporto agli altri esseri umani, alla natura, alle fonti di sussistenza, alla tenuta d’insieme del sistema che avevamo pazientemente costruito e che aveva le parvenze di una rassicurante e prevedibile sequenza di eventi nelle alterne vicende della vita.

Cogliamo con fatica la sensazione indistinta di un “prima” e di un “dopo”, tutto è diventato incerto, effimero, assoggettato al potere devastante di un nemico invisibile.

La sanità, la scuola, il mondo del lavoro, le abitudini alimentari, le singole ripetitive azioni che scandivano ritmi e tempi della giornata, per dirla con una parola che tutto assomma ed accresce in termini di inquietudine ed insicurezze – il “sistema”- che governava la pianificazione della presenza umana sul pianeta: tutto è forse irreversibilmente diverso da prima.

E’ come se l’umanità intera avesse vacillato all’angolo di un gigantesco ring sotto i colpi inferti da un’entità di cui abbiamo una descrizione scientifica cui non corrisponde tuttavia una pallida e visibile rappresentazione iconica, una immagine, la figura del nemico.

Avvertiamo la sensazione – alimentata dalle ricerche in tema di sostenibilità ambientale e di graduale estinzione delle biodiversità – di trovarci di fronte ad un discrimine risolutivo e dirimente: si tratta di una pestilenza ricorrente nella storia dell’uomo ovvero di qualcosa di terribilmente diverso a cominciare dall’intensità della mutazione genetica del virus che può renderlo meno vulnerabile agli antidoti vaccinali?

L’umanità impreparata – come l’ha definita il Prof. Benini, Emerito all’Università di Zurigo, è stata messa alle corde e ha mostrato tutta la sua debolezza di fronte alla ribellione dirompente della natura.

A forza di impossessarci del mondo e di assumere il concetto di progresso come una immaginaria linea retta senza limiti, intoppi e senza drastiche interruzioni, lo abbiamo consumato fino a renderlo invivibile.

L’establishment mondiale ha vacillato ricorrendo a misure diametralmente opposte tra loro ma il concetto di distanziamento umano (oltre e a parte le sciagurate teorie dell’immunità di gregge) è risultato l’antidoto immediatamente prevalente, accompagnato da misure di profilassi ora rispettate ora disdegnate ora avversate come inutili e lesive delle nostre libertà personali.

Un distanziamento che oltre alle coordinate spazio-temporali assume sembianze simboliche significative sul piano dei rapporti umani, dei sentimenti, degli affetti, dello stesso amore fisico e spirituale.

La retorica è il più illustre convitato di pietra in ogni sede decisionale: resta il fatto che l’immagine complessiva prevalente è quella di una umanità impaurita e terrorizzata che attende l’evolversi degli eventi.

Dopo l’estate ci aspetta la riapertura delle scuole, l’atteso rilancio delle imprese e del lavoro, la ripresa di consuetudini sociali e domestiche più consuete: ma tutti indistintamente percepiamo – oltre le sicumere, i verbali desecretati, le illazioni, le congetture, le rassicurazioni e i DPCM – che nulla sarà più come prima, e ciò accadrà (dobbiamo augurarci che sia “solo” così) per lungo tempo (e non per sempre).

Persino le temperature elevate di questa estate effimera e piena di incognite, ci sembrano insopportabili, si avvicina il ferragosto (da sempre lo spartiacque tra gli impegni esistenziali del resto dell’anno) ma lo avvertiamo fugace e ingannevole. 

Persino l’attesa diventa più ansiogena e pregna di timori rispetto ai fatti in se’, che la cronaca non ci risparmia. E’ tutto un saliscendi di incertezze inafferrabili.

Dobbiamo aspettare: speravamo che l’estate sarebbe stato  il giro di boa verso l’uscita, a settembre confidavamo nella rinascita. Speriamo di cuore che sia così, incamminandoci nei meandri del male e dei suoi pericoli abbiamo riconquistato il diritto ad una innocente ripartenza.

Intanto Ferragosto passa e va e ci resta il ricordo di una stagione inutile, corrosi dal dubbio e dall’ansia del vivere.