Un fronte antisovranista? No, grazie

C'è veramente qualcuno che pensa di dar vita ad una lista per il rinnovo del prossimo Parlamento europeo che metta tutti insieme: laici e cattolici, riformisti e conservatori, progressisti e reazionari, democratici e repubblicani, socialisti e democristiani e via discorrendo.

I “fronti”, in Italia, non hanno mai avuto fortuna politica e non sono mai stati forieri di successi elettorali. Pur non essendo scaramantico, ci sara’ pur un motivo se i diversi fronti che si sono creati nelle diverse fasi storiche sono usciti tutti con le ossa rotte.

Ora, per restare all’attualità, ritorna in agenda di nuovo un “fronte”. Questa volta un fronte addirittura repubblicano contro la potenziale deriva fascista, illiberale, antidemocratica e autoritaria. Detta così, sembra una boutade o una goliardata. Invece c’è veramente qualcuno che pensa di dar vita ad una lista per il rinnovo del prossimo Parlamento europeo che metta tutti insieme: laici e cattolici, riformisti e conservatori, progressisti e reazionari, democratici e repubblicani, socialisti e democristiani e via discorrendo. Purché siano tutti anti leghisti e anti 5 stelle. Mah, qualcuno dice che questo è l’unico modo per arginare la deriva autoritaria in Italia portando un contributo autorevole, così facendo, in tutta Europa.

Ora, per uscire dal politicismo e dalla politologia, forse è opportuno piantare qualche paletto. Preciso e pertinente.

Innanzitutto un fronte antisovranista, in Italia, sarebbe uno schieramento che si caratterizza unicamente per la sua feroce contrapposizione contro qualcuno. Nello specifico, contro la Lega. Salviniana. Il tempo in campagna elettorale lo trascorri prevalentemente parlando “contro”. Una sorta, come si suol dire, di “identità in negativo”. Un modo, probabilmente e pur senza volerlo, per rafforzare lo schieramento sovranista e populista perché finisci per esaltare le ragioni degli avversari limitandosi a giocare un ruolo prevalentemente difensivo. Oltretutto, e sarebbe quasi inesorabile, a difendere “questa” Europa, questa “istituzione europea” e, in particolare, “questa classe dirigente” europea. E quindi, ancor più nello specifico, questa odiata e detestata tecnocrazia europea. Una strategia votata a sicuro insuccesso politico e a quasi certa sconfitta elettorale. Un strategia che, non a caso, parte dal Pd come escamotage per nascondere la profonda crisi politica, di identità, di prospettiva e di immagine in cui è precipitato quel partito dopo le ripetute e continue sconfitte elettorali subite dal 2015 in poi.

E poi c’è una seconda ragione politica che ci porta a diffidare di uno schieramento raccogliticcio e vagamente trasformistico del cosiddetto “listone” antipopulista e antisovranista. E cioè, le diverse identità e culture politiche sarebbero inesorabilmente costrette a rinunciare alla propria specificità per scagliarsi contro il “nemico comune”. Ora, il voto del 4 marzo ci ha detto, tra le molte altre cose, che la stagione dei “partiti plurali” e’ politicamente tramontata. Archiviata. Nuove identità e nuove culture politiche si sono imposte. Piaccia o non piaccia. A partire dalla nuova destra sovranista incarnata da Salvini con la sua Lega nazionale che ha travolto il vecchio e ormai vetusto centro destra. Anche se viene riproposto, ma in chiave profondamente diversa, in vista delle prossime elezioni regionali. Per non parlare dell’ex centro sinistra, incarnato da un Partito democratico dilaniato da estinzione, scioglimento, separazione consensuale, confluenza in un nuovo contenitore indistinto ed anomalo e via discorrendo. Anche in questo campo, l’unico elemento da respingere e’ il soffocamento delle diverse identità che sono, al contrario, le uniche vere risorse per ridare fiato e smalto ad un progetto politico riformista, democratico, europeista e di governo.

Ecco perché quando si parla fanciullescamente di fronti repubblicani e di cartelli antisovranisti, e’ sempre consigliabile comprendere sino in fondo le ragioni politiche che si nascondono dietro l’angolo. Che da un lato denunciano un deficit di elaborazione culturale e, dall’altro, sono semplici espedienti per coprire le proprie difficoltà e i rispettivi fallimenti. Semmai, la vera sfida per rispondere e replicare ad un disegno politico di profondo sovvertimento dell’europeismo dei padri fondatori, e’ proprio quello di presentarsi con la propria identità e con la propria personalità per ricoprire, insieme ma distinti, le ragioni politiche, culturali e programmatiche dell’europeismo da un lato e della cultura democratica e sociale dall’altro. La macedonia, in politica, può avere un successo immediato ma è destinata a risultare un’operazione effimera a lunga scadenza. Come è