La Leucemia Linfatica Cronica (LLC) è uno dei tumori del sangue più diffusi nel mondo occidentale e colpisce ogni anno circa 5 persone su 100.000 abitanti. Nonostante negli ultimi anni siano stati fatti numerosi passi avanti nella ricerca, al momento non esiste ancora una terapia in grado di guarire dalla malattia, probabilmente a causa di alcuni meccanismi biologici non ancora chiari.

Ecco perché la dottoressa Cristina Scielzo, group leader dell’Unità di Biologia delle cellule b maligne e modellazione 3D dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, insieme al suo gruppo di ricerca, ha deciso di orientare i propri sforzi nello sviluppo di un nuovo modello per studiare la LLC, in grado di riprodurre più fedelmente in laboratorio ciò che avviene nel nostro organismo.

“Il lavoro più grande in questi ultimi anni è stato quello di creare protocolli sempre più efficaci per studiare come si comportano in vitro le cellule di LLC, come interagiscono con il microambiente circostante e come rispondono ai farmaci. L’obiettivo finale è identificare meccanismi che possano diventare presto target terapeutici per una malattia ancora incurabile” spiega la dottoressa.

A sottolineare l’importanza delle sue ricerche, Cristina Scielzo ha ottenuto da poco un prestigioso finanziamento da parte dell’European Hematology Association (EHA) per creare un sistema multiorgano in vitro della LLC sempre più complesso e aderente alla realtà.

Nella LLC le cellule tumorali non solo si trovano in grandi quantità in circolo nel sangue ma proliferano negli organi linfoidi, quali midollo osseo, linfonodi e milza. Qui stabiliscono delle interazioni fondamentali con il microambiente circostante, che determinano lo sviluppo, la progressione e la resistenza ai farmaci della malattia.

“Per studiare i meccanismi che entrano in gioco nei tessuti, molti modelli sperimentali finora utilizzati sono risultati parziali o poco affidabili. Nel nostro modello tridimensionale della malattia, le cellule tumorali non sono costrette a una superficie piatta (in due dimensioni, 2D, come quella tipica delle piastre da laboratorio), ma si estendono in tutte le dimensioni dello spazio, esattamente come accade nella realtà” specifica la dottoressa Scielzo.

Un approccio innovativo, questo, che permette di studiare a fondo le interazione tra cellule malate e microambiente, e di testare nuovi farmaci in un contesto molto più fisiologico rispetto ai tradizionali modelli 2D.