Articolo pubblicato sulle pagine dell’Osservatore Romano a firma di Giuseppe Buffon

Ai giovani imprenditori dell’incontro internazionale, «The Economy of Francesco», già programmato per maggio scorso ad Assisi, il Papa non parla che raramente di economia. Si dilunga, invece, sulla politica, “la migliore politica”, nel solco della nuova enciclica Fratelli tutti. Non bastano più, infatti, nuove economie, una semplice innovazione delle strategie economiche, occorre un nuovo paradigma culturale e politico, una nuova società: «Siete chiamati a incidere concretamente nelle vostre città e università, nel lavoro e nel sindacato, nelle imprese e nei movimenti, negli uffici pubblici e privati con intelligenza e impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi». L’economia deve fare i conti non solo con la politica, con la società, ma anche con la storia; deve occuparsi della casa comune e non più soltanto del miglioramento del mercato per accrescere la ricchezza.

Non basta più ragionare sulle risorse materiali, onde procurare il cibo a una popolazione in aumento, come a postulare un conflitto tra essere umano e ambiente, ma è necessario occuparsi di risorse umane, sociali, e anche istituzionali. Occorre superare la logica della frantumazione, del conflitto e del dominio, per giungere a favorire una cultura dell’incontro a pro del bene comune.

Echeggiano qui le affermazioni della Fratelli tutti sulla carità politica, sulla società aperta e il cuore aperto, che si guarda dallo screditare, o peggio, dal calunniare l’interlocutore. Torna forte il monito a non accontentarsi di una politica assistenziale e filantropica che umilia il povero, ma osare una governance, capace di offrire agli scartati un posto al tavolo dei decisori: per una politica non solo con i poveri ma dei poveri. «È tempo, cari giovani economisti, imprenditori, lavoratori e dirigenti di azienda, è tempo di osare il rischio di favorire e stimolare modelli di sviluppo, di progresso e di sostenibilità in cui le persone, e specialmente gli esclusi (e tra questi anche sorella terra)… diventino i protagonisti della loro vita come dell’intero tessuto sociale. Non pensiamo per loro, pensiamo con loro… e da loro impariamo a fare avanzare modelli economici che andranno a vantaggio di tutti…». La sostenibilità autentica, senza ipocrisie, cioè la ricerca del bene comune coincide allora con “l’opzione per i poveri”, senza la quale non si costruisce una società fraterna. Come nella Fratelli tutti, anche ai giovani imprenditori di Assisi, il Papa pone la questione centrale dell’appartenenza alla società, un’appartenenza che deve sottostare al criterio della dignità umana, del rispetto dei diritti umani fondamentali, cioè deve assoggettarsi al principio della inclusività.

Lo stesso invito rivolto a Francesco dal crocifisso di San Damiano diventa allora “perché no!” un programma politico a tutto tondo. Riparare la casa, che va in rovina, non è solo una chiamata a una missione religiosa, rivolta all’intimo della coscienza; è un programma di riforma globale. Francesco, che incontra il lebbroso e lo bacia, si sente mutato nel corpo, tanto che l’amaro si cambia in dolce e viceversa. Egli, però, non si ferma al semplice servizio ai lebbrosi. Torna, sì, di tanto in tanto, presso di loro, ma il suo sguardo corre altrove. La sua scelta dei lebbrosi non intende assecondare il sistema bipolare della dicotomia tra maiores minores. Se la sua vocazione si fosse limitata a un puro assistenzialismo, egli sarebbe caduto vittima del sistema: assistere i lebbrosi per calmierare il disagio sociale sarebbe equivalso a permettere alla città dei mercanti di continuare a svolgere i propri affari. La sua proposta, invece, è la fraternità con tutti, incluse le creature e il sultano d’Egitto, cioè la via di una appartenenza inclusiva, la via di un cambio di paradigma, quello della centralità del fratello, a cominciare dal lebbroso. Egli mette così al centro il grido del sofferente, quale questione sociale e politica per eccellenza. Lo dice anche Papa Francesco agli imprenditori di Assisi, proponendo loro un patto: la cultura, l’accademia, la scienza, le aristocrazie culturali non possono appartarsi dalla vita e dalla «sofferenza concreta della gente». Anche per imprenditori e manager vale allora il modello del samaritano della Fratelli tutti, lo stile della cura: «Non temete di coinvolgervi e di toccare l’anima delle città con lo sguardo di Gesù».

L’opzione per la povertà, operata da Francesco d’Assisi, a differenza di quella di altri ordini mendicanti, non era una strategia per sostenere l’autenticità della predicazione, ma una scelta politica e quasi antropologica, a sostegno di un modello di nuova umanità.

La povertà di Francesco d’Assisi è scelta politica essendo scelta non solo ascetica, ma economica. Essa postula, infatti, il passaggio dal diritto di proprietà al semplice uso delle cose. E uso sobrio, cioè limitato alle necessità dell’oggi, rispettoso dei limiti delle risorse, che madre terra ci offre per il nostro sostentamento. Proprio questo nuovo rapporto con i beni, l’uso sobrio, è ciò che esige la fraternità che non vuole escludere nessuno, che mette al centro la dignità di ciascuno, il valore intrinseco di ogni essere vivente. Anche la fraternità di Francesco opera successivamente secondo queste indicazioni. La predicazione francescana del Quattrocento, ad esempio, non tollera l’avarizia, di chi accumulando beni per sé li sottrae alla fraternità, e rallentandone la circolarità, ne esclude l’accesso ai più fragili. Il criterio di appartenenza, cioè il diritto di cittadinanza, per questi francescani, non è basato sul sangue, o sulla residenza, ma sulla effettiva disponibilità a promuovere il bene di tutti, a promuovere cioè il bene comune, a prendere parte alla costruzione della fraternità. L’imprenditore non può essere perciò solamente un’economista, ma un economo: amministratore della casa comune; a lui appartiene cioè non tanto la vocazione del contabile, bensì quella del politico, che prende parte attiva alla vita della città, anzi che si impegna in prima persona nella cura della fraternità. Come università Antonianum, lo abbiamo appreso concretamente proprio toccando l’anima della città di Taranto, dove al centro sta il problema della vita, e della vita lacerata dalla malattia, già molto prima dell’arrivo del covid-19: vita che non tollera dicotomie tra salute e lavoro, tra economia e società, tra scienza e utopia politica. A Taranto abbiamo capito che oggi più che mai l’imprenditore, o il manager pubblico e privato, deve essere esperto di umanità, cioè uditore tanto del grido della terra e del grido dei poveri.