Questo contributo, pubblicato su “federalismi.it e qui riprodotto nella parte conclusiva, intende analizzare le proposte di riforma dei regolamenti parlamentari giunte all’indomani dell’approvazione della l. cost. 1/2020 che ha ridotto il numero dei parlamentari. In particolare, si intende conoscere se tali proposte vadano nella direzione di una riforma organica dei regolamenti o se, al contrario, si tratti di un mero adeguamento numerico. Inoltre, si vuole comprendere quali riforme costituzionali si rendano necessarie in seguito al ridimensionamento delle Camere.

Domenico Scopelliti

Già dai lavori preparatori emergeva che il successo della riduzione del numero dei parlamentari si sarebbe 

potuto misurare solo in seguito all’approvazione di quelle riforme che ne sarebbero state, in modo più o meno diretto, una conseguenza. Sulle tempistiche, non può che aver pesato l’emergenza sanitaria e, a meno di due anni dalla fine della legislatura ci si trova, ancora, senza aver prodotto una riforma organica dei regolamenti. Il ticchettio dell’orologio che segna la fine della legislatura si fa più incombente e gli impegni cui far fronte si affastellano: la pausa estiva, l’inizio del semestre bianco, poi la sessione di bilancio e, a gennaio 2022, l’elezione del Presidente della Repubblica, in seguito alla quale uno scioglimento delle Camere è un esito tutt’altro che improbabile.

Seppur la congiuntura storica non sia la più favorevole, l’esistenza di una larghissima maggioranza attorno al Presidente Draghi, sembra invece la congiuntura politica migliore per approvare una riforma che sia il più possibile condivisa da tutte le forze politiche.

Tuttavia, lo stato dell’arte è un altro: i comitati ristretti non hanno ancora prodotto un testo da sottoporre alle Giunta. In questo senso, sembra concretizzarsi l’idea di una riforma ad res che interviene in modo chirurgico sui soli quorum, espressi in termini assoluti, per non paralizzare il funzionamento delle Camere, rimandando all’inizio della prossima legislatura le modifiche più rilevanti; con il rischio, però, che l’auspicata riforma organica venga poi rinviata sine die.

Secondo dottrina maggioritaria, la riduzione dei parlamentari, in sé, veniva estrapolata dal contesto di un disegno di riforme istituzionali che avevano l’obiettivo, malcelato, di contribuire all’isolamento della principale istituzione della democrazia rappresentativa. Ora, invece, viene rivitalizzata nella prospettiva di un nuovo centralismo delle assemblee elettive.

In  conclusione,  se  questo  Parlamento  sarà  in  grado  di  produrre  delle  riforme  che  ne  rivitalizzino  i procedimenti, che arginino il ricorso alla decretazione d’urgenza, che lo rendano più efficiente e quindi più vicino al cittadino, ma anche più rispettoso del pluralismo delle opposizioni, avremo un Parlamento «rampante», dotato  di  una  serie  di  strumenti,  caldeggiati  da  tempo  dalla  dottrina,  che  lo  renderanno  in grado  di  governare  i  fenomeni  e  non  anche  di  subirli,  come  la  recente  esperienza  della  pandemia ha mostrato. Se, al contrario, nessuna riforma dovesse provenire da questa legislatura, avremmo un Parlamento solo «dimezzato», che rischia di autocondannarsi ad una progressiva emarginazione dai processi decisionali.

In ultima analisi, l’assenza di riforme che siano in grado di valorizzare il taglio dei parlamentari ci condurrebbe, in un futuro non molto lontano, ad un Parlamento «inesistente», simulacro del passato, ma ora condannato alla totale irrilevanza.

 

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