Il 27 dicembre 2020, pochi giorni prima che volgesse al termine un lunghissimo e penoso anno, in cui la paura e lo sconforto sono stati protagonisti indiscussi e incontrastabili, l’Italia si è finalmente svegliata sotto il segno della speranza. Alle 7.20 presso l’Istituto Spallanzani di Roma sono state eseguite le prime vaccinazioni anti-Covid nel nostro Paese. 

Attendevamo da tempo questo giorno, dopo mesi di sconforto assoluto, in cui gli italiani tutti si sono trovati alle prese con difficoltà insormontabili sotto molteplici aspetti. “Crisi” è stata la parola chiave del 2020 e, purtroppo, ci si aspetta che anche nel 2021 questo termine sarà ben presente come compagno di vita per tutti noi.

Crisi sociale, dell’istruzione, economica, sanitaria, anche delle Istituzioni, vista la precarietà pressoché costante del Governo recentemente culminata nelle dimissioni del Premier. 

Per tutti questi motivi un primo e tanto atteso barlume di luce sembrava fondamentale per dare il via a una ripartenza, se non immediatamente attuabile nella pratica, quantomeno simbolica e concettuale. Fin dall’inizio della pandemia poi, scienziati ed infettivologi impegnati in prima linea nella lotta al Covid, avevano evidenziato come, a fronte di un virus ancora così poco conosciuto, così altamente contagioso e per il quale, ancora oggi, non è stata identificata una cura di efficacia certa, la vaccinazione di massa sarebbe stata l’arma più potente e probabilmente anche l’unica possibile, per riuscire a debellare, seppur lentamente, questo nemico invisibile e terribile. Ecco perché la notizia della scoperta del vaccino in tempi così rapidi rispetto a quelli standard normalmente necessari per lo sviluppo di questo tipo di farmaco ed il brillante superamento dei primi test di efficacia e sicurezza che ne avrebbe permesso un utilizzo immediato in larga scala, sono stati accolti con grande entusiasmo soprattutto dal personale sanitario, i cui componenti sono stati identificati quali primi destinatari del vaccino.

Eppure, dopo un primo momento di fervido slancio in cui sembrava che finalmente fosse stato dato quel segnale positivo di rilancio di cui non solo  il nostro Paese, ma tutto il mondo, aveva tanto bisogno, emotivamente e concretamente, per guardare con speranza al presente e al futuro per la prima volta dopo mesi, già è giunto il tempo degli intoppi, delle accuse e delle polemiche.

Le case farmaceutiche detentrici del brevetto del vaccino attualmente autorizzato dalle agenzie del farmaco mondiali hanno infatti annunciato non solo ritardi nei tempi di consegna previsti, ma anche una riduzione nelle quantità che saranno rese disponibili ai singoli Paesi. Si assiste spesso in questi giorni ad una sorta di processo mediatico volta ad individuare responsabili e colpevoli di quello che rischia di aver esito in un colossale fallimento a livello globale, non solo da un punto di vista concettuale, come delusione di aspettativa di salvezza, ma anche pratico, con le nuove evoluzioni del virus alle porte e la necessità immediata di vaccinare quante più persone possibili almeno contro le varianti già conosciute, viste una contagiosità e un’aggressività che non sembrano voler accennare a spegnersi.

Le prime pagine dei giornali sono così costellate di articoli che parlano di antitrust, violazione di patti commerciali, contratti sibillini e volti all’inganno, cause legali e richieste di rimborsi. Eppure, forse, questo è uno dei pochi casi in cui sarebbe lecito, prima di tutto, fare quel che viene comunemente detto “processo alle intenzioni”: quale principio dovrebbe dettare la distribuzione del vaccino a tutto il mondo?

Deve essere ben chiaro che non si sta parlando di un optional accessorio e che il vaccino in questo momento, come unica possibilità scientificamente provata in grado di debellare la diffusione del virus, deve essere considerato un bene assoluto di prima necessità ed indispensabile per la tutela della popolazione mondiale. 

Si può dunque ridurre la questione a una mera attribuzione di responsabilità da un punto di vista economico e commerciale? C’è un tipo di responsabilità ben più importante, soprattutto quando, come in questo caso, riguarda la salute, benessere primario di ogni individuo: la responsabilità morale.

Di fronte ad un virus che ha mietuto milioni di vittime nel mondo e che ha messo in ginocchio l’economia globale, credo sarebbe auspicabile, da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, che le case farmaceutiche fossero obbligate ad una presa di coscienza. 

Esistono, eccome, precedenti illustri. “Non c’è un brevetto. Puoi forse brevettare il sole?” e ancora “Tanti insistevano che brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo” così risposero Salk e Sabin quando fu loro chiesto a chi appartenesse il brevetto per il vaccino contro la poliomielite che negli anni Cinquanta scoprirono e decisero di donare gratuitamente al mondo. Particolarmente toccanti le parole di Sabin a proposito delle due nipotine ebree uccise dalle SS: “Mi hanno ucciso due meravigliose nipotine, ma io ho salvato i bambini di tutta l’Europa. Non la trova una splendida vendetta? Vede, io credo che l’uomo più potente sia quello che riesce a trasformare il nemico in un fratello”.

Queste parole mettono i brividi. Fanno molto riflettere, soprattutto su quanto sembri che, nei settant’anni successivi, l’Umanità si sia involuta anziché seguire un processo di miglioramento e di autodisciplina. E’ possibile che il Dio Denaro abbia sempre e comunque la prima e l’ultima parola anche quando si discute di vita e di morte? Cosa penserebbero ora questi due scienziati se dovessero assistere oggi a questa guerra tra colossi internazionali e governi mondiali? E’ dello scorso agosto la notizia che, finalmente, anche in Africa la poliomielite è stata completamente eradicata, oltre sessant’anni dopo la scoperta del vaccino. Se questi sono i tempi per debellare una malattia la cui vaccinazione è disponibile e distribuibile senza limiti almeno teorici, quali potrebbero essere quelli per sconfiggere un virus il cui vaccino viene conteso a colpi di contrattazioni di mercato? 

Chiunque abbia compiuto sacrifici importanti, nel corso di questo anno che ha segnato tutti noi nel profondo, trova inaccettabile un simile atteggiamento. Penso, in primo luogo, ai sanitari che hanno messo a repentaglio la loro stessa incolumità e quella dei loro cari, spesso con costi altissimi, in nome di quel Credo assoluto che è l’amore per la Vita e per il prossimo. Penso al senso di frustrazione e impotenza che provano adesso nel constatare che questi sforzi rischiano di risultare inutili se gli organismi ai vertici, che hanno un reale potere di cambiare la situazione a livello globale, non adotteranno la stessa linea di pensiero.

Se è vero che la tanto agognata fine di quest’incubo è nelle mani di ciascuno di noi, che nel suo piccolo può dare un contributo, è altrettanto vero che c’è chi può intervenire in maniera fattiva, concreta e risolutiva più di altri. Per quanto sia fondamentale l’impegno della collettività per salvare il futuro, essa resta sempre e comunque composta da individui ed è proprio dai singoli che partono le decisioni che si riflettono sulla comunità stessa. E’ alla loro coscienza che viene fatto appello, perché anche qualche nostro contemporaneo possa rimanere nella storia, proprio come Salk e Sabin, ed essere ricordato dai nostri discendenti come colui che contribuì a guarire il mondo.