Le  culture  politiche  convergenti e  da  ridefinire  

Alle blasfemie e alle sparate provocatorie, Matteo Salvini ci ha ormai abituati. Basta che abbia una telecamera davanti. E basti ricordare quel giuramento di Milano sul Vangelo , e quel comizio di Siracusa col Rosario in mano. Ora se ne esce dicendo che la Lega è l’erede dei valori di Berlinguer. Boh ! Diciamo pure, però, che se guarda solo ai voti e alle classi sociali che votano Lega, un poco di ragione c’è l’ha: il 50%  circa dei suoi elettori è composto  da operai e lavoratori autonomi. Un dato che conferma la vecchia  previsione di D’Alema sulla Lega come “costola del movimento operaio” . Questa sua paradossale uscita mi ha però sollecitato una riflessione e una convinzione. La riflessione è quasi scontata e riguarda  il rimescolamento delle identità dei partiti italiani, con la crisi delle differenze fra le culture politiche storiche provocata  dalle profonde trasformazioni in corso.  Si giustifica con un dato molto semplice legato ai cambiamenti strutturali, antropologici, sociali, economici e culturali, che viviamo.

E che, dopo,  tutti insieme si riversano inevitabilmente sul  politico. Partiti  che da solidi sono ormai diventati liquidi e mutevoli nell’offerta. Rivolti a pezzi di società variabili e una volta rigidamente schierati nelle appartenenze. La convinzione riguarda invece  le risposte da dare a una tale crisi delle identità, che non possono essere tanto  diverse l’una dall’altra. A  misura cioè di singolo partito politico,  di singolo elettorato , di singolo leader di partito.   Come è noto,  il dibattito su Sinistra, Centro e Destra, compresi i luoghi geometrici intermedi, non è nuovo. Ed è già pieno di una interessante bibliografia. E’ compito  dei filosofi della politica, discutere e individuare i grandi principi fondanti e i grandi valori  della democrazia  e del vivere civile  che ci attendono. Il fatto nuovo è, che di fronte ad una concentrata ed unica sfida globale –  il mercato, i profitti, la finanza , la crescita a prescindere dalla distribuzione, le migrazioni, ecc.  –  questi valori pur mantenendo le caratteristiche che si sono affermate da Pericle in poi, non possono essere molto diversificati.  Diventando necessario concentrare e unire le risposte ai mutamenti epocali, con   soluzioni il più possibile univoche e unitarie. Saranno però proprio questi valori che ci permetteranno di prendere le distanze dalle ultime ideologie, dalle scorciatoie, dalle illusioni, e dai populismi. E sarà il realismo politico che potrà accorciare le distanze tra i partiti,  avvicinando i loro  obiettivi sociali ed etici , i traguardi da raggiungere.                     

Le  tante  sfide  già sotto i nostri occchi.                                                                     

Le sfide del futuro appartengono in parte già al passato. E sono sotto i nostri occhi da un poco di tempo.  Sono tante  e diverse . Ma sono novità assolute nella storia dell’uomo. Proprio per questo è da ritenere che basti un poco di buon senso per dire che le risposte da dare non possono essere altrettanto tante e diverse.  Si pensi al clima e ai ghiacciai che spariscono. All’acqua dei mari che si  alza. All’equilibrio ecologico  del pianeta , e all’energia rinnovabile.  Alla biodiversità e al cambiamento climatico. Alle foreste amazzoniche. E soprattutto alle  povertà in drammatico aumento con 400 milioni circa di poveri concentrati nell’Africa Subsahariana, e pronti a scappare dalla fame e dalle guerre. Si pensi ai big data, agli algoritmi che dettano i ritmi alla nostra vita sociale. A cosa sarà il lavoro tra una decina di anni.  All’intelligenza artificiale e alla robotica che smantelleranno il mondo lavorativo che conosciamo.  Allo smart working che ci accompagnerà oltre la pandemia. Al mondo digitale delle poche aziende globali che lo gestiscono. Ai “Treni proiettile”  magnetici giapponesi che corrono a 600 Km l’ora.  A Marte che ci attende. E si pensi alla nuova economia globale in pieno sviluppo e nelle (poche) mani di un capitalismo finanziario e digitale che chiede uno Stato minimo. Se non assente. Eh.. insomma,ne abbiamo di sfide. Una serie di sfide incredibili che sono vere e proprie  rivoluzioni delle  nostre conoscenze, ma che  conducono a vere e proprie rivoluzioni  delle nostre strutture sociali, economiche,  culturali, e dunque politiche. Verso cui bisognerebbe concentrare e  far convergere  risposte e soluzioni univoche .

Con una sola avvertenza a scanso di equivoci. E cioè che questo urgente lavoro unitario , deve far capo alla testa e non alle pancia. Accorciando distanze , sì.  Ma evitando nello stesso tempo di cadere nelle trappole – pericolose –  del pensiero unico e del partito unico,  dove si livella ogni dibattito, e si fa morire il sacrosanto diritto alla libertà di associarsi e di dissentire.  E’ stata la mistica Simon Weill ad avvertirci molti anni fa di questo pericolo. Quando ha ragionato sulla morte del partito politico quando si riduceva ad una sola dimensione. Per questo, pur di fronte a problemi epocali che chiedono risposte coraggiose non dissimili,  bisogna continuare ad aver fiducia nel pluralismo. Legittimando i corpi intermedi , specie quelli che partono dal basso . Riconfermando senza discussioni il  ruolo insostituibile del Parlamento : silenzioso durante il Corona virus !  Rispettando i municipi con i loro  problemi reali locali. Delegando poteri  e  sovranità a quella Europa unita indicataci dai padri fondatori.  Applicando quel benedetto principio di  sussidiarietà, ma evitando  per favore di evocare fascismi quando si necessita di utili e necessarie decisioni centrali nelle mani del Governo. Tutto questo a  patto che sia un  pluralismo vero. Non quello finto  venduto come vero.  Un pluralismo sostanziale, insomma. Non quello artefatto per accontentare i tanti partiti personali oggi a misura di solitari leader. O  quello favorito e incentivato soltanto dalle leggi proporzionali che conducono ad un pluralismo politico formale, che,  nella prospettiva dei cambiamenti spesso si riduce a ripetute fotocopie di partiti  e programmi, ad eccezione di qualche virgola.                                     

Il momento storico
Salvini con sua beata incoscienza mi ha però fatto pensare anche alla politica del  particolare  momento storico che viviamo. Con l’ importanza della presenza di uno Stato , pandemia o meno, che deve continuare a fare  la sua irrinunciabile parte reagendo a quel neoliberismo modello laissez faire .

Del  meno Stato e più  privato. E così spiazzando quei diversi studiosi e  editorialisti  innamorati del libero mercato  come  unica e sola possibilità di sopravvivenza civile, che hanno sempre snobbato Keynes. Un momento storico che deve essere però tolto dalle mani dei tanti che confondono il bene comune col bene particolare, il  bene di tutti col bene di una sola parte.   E tutto questo  mentre l’economia si incammina verso lidi sconosciuti e le società  necessitano di urgenti analisi sui cambiamenti strutturali e le sfide incredibili che essi  ci riservano.  Sotto questo aspetto, e sapendo delle difficoltà, ritengo che lo smussamento delle differenze e l’avvicinamento delle risposte politiche e partitiche sul futuro già presente, debba essere precipuo  compito della ragione più che della passione. Più della scienza politica che della scienza populista con i suoi canoni depositati nel mondo dei media, dei social e dei selfie. Un  compito nuovo ma arduo nello stesso tempo. Capisco. Che  ha poco da fare con la cattura del consenso politico-partitico.  Ma  capace di leggere un capitalismo ormai concentrato nelle mani della sola finanza e lontano dai controlli democratici,  che crea quelle diseguaglianze e povertà di portata mondiale, e  con un mercato azionario pilotato da solo da quell’1% di super ricchi  che detta le leggi alla democrazia, esercitando un potere extrapolitico  su cui sorvolano anche i liberisti.

Gli interrogativi
Ci sono risposte diverse da dare per questi problemi? E , per caso,  una  destra  sociale,  una volta che indirizza il suo sguardo verso la società anziché verso le sue idee,  riesce veramente a essere diversa da una sinistra sociale?
Esiste dunque qualche  possibilità per ridurre le differenze, soprattutto quelle tardo ideologiche, concentrandoci tutti, a destra, al centro e a sinistra, sulle sfide che ci attendono ? Esiste questa volontà ? O invece dobbiamo creare differenze fittizie per proseguire allegramente su quelle partitiche storiche, sulle cui distinzioni  occorre una totale ritaratura perché di destra e  sinistra, come le abbiamo sempre intese, non hanno più niente ?   Esiste la possibilità di conciliare il sacrosanto diritto costituzionale di concorrere alle elezioni politiche e di essere presenti, evitando però la proliferazione inutile dei partiti,  quando ormai se ne contano 54 registrati,  18  in Parlamento , e 9 fuori dal Parlamento  che arrivano a 26 se si tiene conto dei gruppi parlamentari, delle liste per l’Europa e di quelle nazionali locali ?
Ho cari amici che la pensano in modo diverso. Ma se la mia chiacchierata porta al bipolarismo e al bipartitismo, devo ammettere che  ciò non mi scandalizza per niente. E, guardando al futuro, è anzi un mio auspicio che trascura anche le
Terze Vie  fallimentari. Non concede però nulla ai populismi che guardano alle c.d. caste e alla classe politica, indispensabili ieri come oggi . Quelli cioè  del… né destra né sinistra ! Perché rimane sul tappeto e in bella evidenza l’eguaglianza. Quella tanto cara a Norberto Bobbio che ci deve fare luce. Accompagnandola con i  diritti dell’uomo, la giustizia e la carità, e possibilmente con l’utopia di Bergoglio sul Salario Universale. .
Il dibattito su Sinistra, Centro e Destra
Quando era già partito un processo spontaneo di ridefinizione, è  stato Marco Revelli  a interrogarsi, circa 30 anni, fa sull’ “Identità smarrita”  di Sinistra e Destra” . Facendo seguire questa sua riflessione da un lavoro provocatorio e ancora più chiaro sin dal suo titolo: Finale di partito. Nel quale  –  scontando la scomparsa del vecchio partito di massa trasformato in comitato elettorale nelle mani di un leader in diretto rapporto con gli elettori per dare così ragione a Bernard Manin e alla sua  “Democrazia del pubblico” ,   e  con gli occhi rivolti a quella  “Postdemocrazia”   denunciata da Colin Crouch  caratterizzata dall’enorme e incontrollabile potere delle lobby economiche e dei mass media  –  sono proprio le identità di  sinistra, destra e…centro,   ad essere messe sotto osservazione. Sono anche gli anni in cui Pietro Scoppola ragiona su quella Repubblica dei partiti  che ha  frenato l’avvento di una democrazia compiuta.  Soffermandosi sulle ragioni storiche del centrismo, e  lanciando velati avvertimenti sulle èlite interne ai partiti, premessa alla loro crisi di identità, ai  giorni nostri matura. Subito dopo arriva il lavoro di Norberto Bobbio su  Sinistra e Destra ,  indicata come alternativa tra i fautori dell’uguaglianza e i sostenitori della diseguaglianza. Una distinzione utile, feconda e lungimirante che ha avviato un dibattito ancora in corso.  Ripreso recentemente anche da  Civiltà Cattolica con l’articolo di Francesco Ochetta del Maggio 2018 : “Destra , Sinistra e le nuove appartenenze della politica”  che  si interrogava su cosa potesse sostituire queste ormai vecchie categorie politiche. Mentre nei riguardi del Centro, tutta la storia politica italiana si rivolge non solo a dove si stava seduti negli emicicli parlamentari, ma anche al centrismo storico della vecchia Dc. Spesso definito moderato e cattolico. Un centrismo in quegli anni  giustificato da una “Politica di centro…necessaria per l’Italia post-fascista,  portando al superamento dell’antifascismo e alla convinzione che il partito comunista di Togliatti sarebbe , prima o poi, diventato democratico” . Cosi la filosofa Lorella Cedroni, introduceva   un bel  libriccino di Reset edito nel 1995: “Centrismo vocazione o condanna ?”,   che è consigliabile leggere per le considerazioni ancora attuali  sul centrismo  e sul centro politico. Su quei ceti medi moderati e su quella borghesia,  oggi scomparsi dalla scena sociale e culturale, e sulla mediazione, in quei tempi indispensabile. Il tema riguarda il  dialogo  “…a distanza”  tra il cattolico Augusto Del Noce  e Norberto Bobbio, che si dichiarava ateo ma che sosteneva ad alta voce  di ignorare  la definizione di ateo. E le considerazioni sono forse utili per capire l’importanza del superamento del centrismo e del centro politico storici, tornati oggi d’attualità grazie alla legge proporzionale, pensando che da sola possa creare una domanda sociale  e definire una identità cultural-politica. Con qualche fuga in avanti sul popolo cattolico e moderato che in tempi di secolarizzazione dovrebbe rappresentarne la base sociale, e  che alcuni miei stimati amici assieme alle loro associazioni vedono con molto ottimismo.  Non sono più i tempi di Del Noce e  Bobbio. Con il  centrismo di quegli alle spalle di una Chiesa cattolica, spaventata e timorosa dell’ateismo marxista e della Cortina di ferro. Giustificato  e forse necessario  negli anni del secondo dopoguerra, a causa della   nota situazione internazionale, e se vogliamo anche nazionale, che ha caratterizzato le identità  partitiche di quel tempo storico, mentre Aldo Moro si scaldava i muscoli e osservava. Ma senza elaborare una qualche originale filosofia politica… di centro, inesistente allora come oggi, se non quella sorretta dalla Guerra fredda. Con una identità  “innervata solo in alcuni valori cristiani tradizionali da difendere”,  oggi a secolarizzazione avanzata impossibile. Non fa male alla chiacchierata  ricordare che la Dc , partito di Centro, se non di centrodestra, è stata sin d’allora protagonista di riforme economiche e sociali di netto sapore di sinistra .
Prime conclusioni.
Devo riconoscere  che  dietro queste mie divagazioni,  ci sono anche le allegre provocazioni  di  Giorgio Gaber. Ma che sicuramente non ci sono, lo ripeto,  le intenzioni populiste di Beppe Grillo del né… né. Nonché di tutti i populismi esistenti che alzano la  bandiera dell’anticasta e della post destra e della post sinistra senza chiarire.  Poiché  è alla razionalità politica che ci si deve rivolgere, e non alla passionalità. Alla testa e non alla pancia.  Alla fine capisco di trascinarmi l’ironia del mio vecchio parroco . Che pochi mesi  dopo il successo elettorale del M5s, mi ha frettolosamente avvertito che “…il centro elettorale della vecchia Dc, compreso quello della sua bella (sic!) sinistra interna, è stato occupato da Grillo … e che oggi non essendoci più il Pci,  è il Pd il  nuovo partito politico di centro, …perché la sinistra, la destra e lo stesso vecchio centro  sono morti” .
Mi tocca infine ricordare , a scanso di equivoci, che se abbiamo ancora bisogno delle distinzioni geometriche orizzontali , e se  abbiamo la voglia di mantenere una  Sinistra, un Centro e una Destra, ebbene dobbiamo  avere il coraggio di dire a chiare lettere che esse indicano, e devono indicare, altre , ma altre cose. Anche se, come ho cercato di chiarire, non  tanto  diverse rispetto alle sfide del  postmoderno. Il che significa che se  vogliamo mantenere queste distinzioni, ponendoci con auspicabili atteggiamenti razionali  di fronte alle incognite,  le  soluzioni vanno trovate rimanendo insieme il più possibile.
Poiché non è più il proprio elettorato che va difeso.
Ma la società e il mondo in cui viviamo nel loro insieme.