La lotta contro il virus inevitabilmente sta assorbendo quasi ogni sforzo degli Stati nel corso di questi primi mesi del nuovo anno che si vorrebbero gli ultimi della pandemia ma che purtroppo tali non saranno. Restano però aperte tutte le altre grandi tematiche con le quali i governi e i parlamenti devono confrontarsi. Fra le molte, dal punto di vista politico quella del rapporto fra USA e UE rimane, almeno per noi europei, una delle più importanti. Non solo per il rilievo storico che l’alleanza ha avuto nella seconda metà dello scorso secolo. Piuttosto invece per il suo sviluppo futuro in un mondo nel quale il peso economico acquisito dal continente asiatico vorrà evolversi anche in peso politico: la Cina è l’emblema, ovviamente, di questo cambio di fase.

Ora, è opinione comune che la nuova Amministrazione americana – e del resto Biden lo ha detto esplicitamente l’altro giorno, nel suo primo incontro presso il Dipartimento di Stato – confermi essere il rapporto competitivo con la Cina, alle cui “ambizioni crescenti” bisogna rispondere, la prima delle sfide. Non l’unica, dunque. Ma certamente quella prioritaria. Del resto, obiettivamente, non potrebbe essere che così. Siamo nel XXI° secolo, il “secolo asiatico” secondo molti analisti, e non più nel XX°. E allora, quale sarà il ruolo dell’Europa nello scenario geopolitico che stanno prefigurandosi a Washington?

Io credo assai rilevante, ma solo se anche l’UE vorrà farlo divenire tale. Mi spiego. E’ intenzione di Biden rilanciare una “Alleanza fra le Democrazie” per ridare smalto e forza a un sistema valoriale comune all’Occidente negli ultimi anni esplicitamente criticato da una serie di autocrati che guidano importanti Nazioni del globo. La loro crescente assertività si è avvertita in diverse circostanze, nell’assenza degli Stati Uniti e dell’Europa. Per fare solo due esempi, il recentissimo golpe in Myanmar riporta al potere gli stessi militari da sempre sostenuti da Pechino. E, nel Mediterraneo, il dispotico e sanguinario regime siriano è stato salvato, in primis, dalla Russia di Putin.

Ora, gli americani devono riprendere il controllo pieno della situazione nel sud-est asiatico laddove molti loro alleati sono sempre maggiormente allettati da proposte cinesi di vario tipo, imperniate sullo sviluppo economico-commerciale che dovrebbe apportare la Belt & Road Initiative. Gli europei, dal canto loro, devono – ragiona Biden – acquisire un ruolo nella politica mediterranea e mediorientale che non hanno mai avuto ma che oggi è indispensabile anche (gli americani non lo dicono esplicitamente ma lo danno ad intendere, sin dalla presidenza Obama, scottati dalla fallimentare guerra irachena post 11 settembre) in relazione al parziale (certo, non totale) disimpegno USA da questo quadrante del mondo sul quale la Russia (e l’Iran; e poi c’è il caso turco, assai complesso data l’appartenenza di Ankara alla NATO) ha esplicitamente posato gli occhi e non solo gli occhi.

Quando incontrerà i vertici UE e i principali leader europei il nuovo Presidente americano sostanzialmente porrà loro questa questione, invitandoli a non sottovalutare o sottostimare le azioni sin qui già poste in essere dalle autocrazie. Verrebbe da dire che è giunto il tempo, per una Commissione Europea che all’atto del suo insediamento si era data un compito “geopolitico”, di dimostrarlo.

Occorre anche dire, però, che i primi dossier da analizzare non facilitano una ripresa realmente armonica delle relazioni. L’accordo siglato dall’Unione su forte impulso tedesco proprio con la Cina su investimenti e commercio alla fine dello scorso anno, per di più con sgarbo istituzionale verso il nuovo Presidente USA, già eletto ma al tempo non ancora insediato, e quindi nemmeno consultato, testimonia di una innovativa volontà europea di autonomia (che, nel caso, dovrà consolidarsi anche in altri campi, ad esempio quello militare) o piuttosto di una nemmeno troppo sottile tentazione, ovvero di privilegiare l’aspetto economico rispetto a quello ideale e quindi di condurre una politica di affari con Pechino senza troppo curarsi di altri aspetti di natura più strategica?

Ancora: riemerge in queste ore la questione del gasdotto Nord Stream 2, deciso a suo tempo da Germania e Russia, avversato dagli Stati Uniti e oggi contestato anche dai francesi. Come si pone la UE di fronte al tema, ovvero se concluderne la costruzione oppure no? Decisione difficile, soprattutto se sul punto l’asse trainante franco-tedesco dovesse spaccarsi. Ovvio che l’Amministrazione americana insisterà con le proprie pressioni. Cosa dirà Ursula von der Leyen al Segretario di Stato e al Presidente USA?

Ecco dunque che il “fronte comune” auspicato da Joe Biden non è così certo, non almeno con quella solidità che sarebbe auspicabile. La riflessione che andrà svolta e sviluppata a Bruxelles e in ogni capitale europea dovrà tener conto – in relazione al rapporto con gli Stati Uniti – di ciò che lo Studio Ovale è costretto ad affrontare in termini prioritari: la riconciliazione nazionale e, subito dopo, la competizione con la Cina.

Ora, Joe Biden è un moderato di centrosinistra (mi si perdoni la semplificazione, serve qui solo per intenderci in poche parole) portato al dialogo e alla mediazione e interessato a un buon rapporto con le democrazie europee. Al tempo stesso non può non considerare le pressioni molto forti, anche interne al Partito Democratico, per una politica quasi interamente concentrata sulla diminuzione degli squilibri sociali interni e quindi piuttosto isolazionista e finanche protezionista. Quindi, se vogliono rafforzare la collaborazione trans-atlantica superando il quadriennio trumpiano, gli europei dovranno cercare di collaborare col nuovo Presidente; in un qualche modo, forse, finanche di aiutarlo.

In un mondo sempre più globale che deve affrontare problemi comuni a tutti, dalla pandemia ai cambiamenti climatici, la solidarietà fra le democrazie occidentali è necessaria quanto il dovere, per l’Europa, di assumere con pienezza uno status geopolitico più autonomo e rilevante.