La storia di un ciclista all’antica, capace di servire una “idea di sport” con assoluta dedizione. Legato a Nibali, ha saputo mostrare tutta la sua grandezza sacrificando se stesso, le sue belle qualità, le sue legittime aspettative. La Fondazione Scarponi, sorta nelle Marche, mira in onore dell’atleta morto in un banale incidente a promuovere la cultura ciclistica e la sicurezza stradale.

Filippo Simonelli

Tra gli sport di squadra il ciclismo è sicuramente il più atipico: il senso dell’agire del gruppo è votato alla vittoria finale di uno solo, e gli almanacchi riportano il nome del vincitore della classifica finale, con quello del team scritto accanto in piccolo. Le grandi vittorie però funzionano quando una squadra è cementata assieme dai mesi di preparazione condivisa, da una perfetta comunione di intenti e dall’abnegazione. Se a vincere sono — quasi — sempre i capitani, la differenza la fanno i gregari, quelli che passano nei grupponi e che spesso solo i più appassionati tifosi riconoscono. Nonostante gli stravolgimenti dei ruoli tradizionali negli ultimi anni questo paradigma offre ancora una fotografia nitida della realtà ciclistica.

L’eccezione più significativa a confermare questa regola è stata quella di Michele Scarponi, definito non a caso “il gregario più forte del mondo”. Scarponi è stato un ciclista marchigiano, nato e cresciuto nel pietroso entroterra anconetano. Soprannominato l’aquila di Filottrano, ha costruito la sua vita in sella fin dalla più tenera infanzia, salendo sulla sua prima bicicletta ad otto anni. Da lì in poi si è imposto nelle varie categorie giovanili con un percorso forse non lineare ma sicuramente rivelatore di quello che sarebbe stato il suo talento.

Scorrendo il suo Palmares si trovano tanti piazzamenti importanti, vittorie di tappa nei grandi giri e nelle corse a tappe, persino una maglia rosa conquistata al Giro del 2011 per una discussa squalifica ad Alberto Contador. Ma non è per questo che viene ricordato e amato oggi, bensì per il suo essere il gregario perfetto, prima ancora che quello “più forte”.

Nel 2013 fa il salto più importante della sua carriera, con l’ingaggio alla squadra Astana, quella dello “squalo” Vincenzo Nibali. E nel Tour de France di quell’anno porta letteralmente sotto braccio il suo capitano alla vittoria agli Champs Elysees, rinunciando alle ambizioni personali per mettersi al servizio del gruppo. Questo spirito di servizio tornerà più volte, fino a trovare il compimento più alto nel 2016, alla tappa Regina del Giro d’Italia.

La corsa rosa affronta il Colle dell’Agnello, un arcigno valico alpino che congiunge l’Italia alla Francia e viene affrontato sia nel Tour che nel Giro. Già dalla partenza di Pinerolo, altra località simbolo del ciclismo eroico, si capisce che Scarponi è in giornata: si lancia presto in fuga, mentre dietro di lui infuria la battaglia per la maglia rosa tra Nibali e l’olandese Kruijswijk. Arrivato da uomo solo al comando in cima al Colle, si lancia in discesa verso quella che sembra una meritatissima vittoria di tappa.

Tra le consuetudini non scritte del ciclismo c’è quella per cui in una squadra chi arriva a ottenere la testa della classifica generale lasci la vittoria di tappa ad un gregario se possibile. C’è tanto di cavalleria quanto di pragmatismo in questa scelta, visto che le vittorie di tappa regalano sia gloria che un cospicuo ritorno economico.

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