Una vita spesa in politica: dal Movimento giovanile al Parlamento. Righi, 84 anni, ci racconta il suo Veneto e la sua Dc.

 

Vicentino, classe 1938, Righi è espressione di quel Veneto bianco che ha visto la grande trasformazione da area prevalentemente agricola a quella manifatturiera, con un distretto industriale fortissimo nelle specializzazioni produttive. Cosa emerge dall’intervista? Si può dire che il dialogo prevaleva sullo scontro: questa era la cifra politica della Dc veneta.

 

Maurizio Eufemi

 

Di recente abbiamo ascoltato giudizi disinvoltamente sprezzanti nei confronti di Mariano Rumor, un personaggio illustre della tua terra, partigiano bianco, deputato costituente, un uomo di grande cultura cresciuto nelle Acli, ministro degli Esteri, degli Interni e dell’Agricoltura, vicesegretario della Dc poi segretario nazionale, cinque volte presidente del Consiglio. Quale è la tua opinione, per te che sei cresciuto con Rumor, in quella terra vicentina? Sei un testimone e superstite di quel tempo: che cosa ha rappresentato Rumor per te?

 

Ho cominciato il mio impegno con la rivolta d’Ungheria del 1956 da studente. Nell’ambito della Dc c’era il movimento studenti medi di cui sono stato delegato del mio comune, per poi diventarlo a livello provinciale Da noi c’erano i movimenti degli studenti ma erano apolitici, con una impronta cattolica. Ricordo che nel nostro Movimento giovanile si entrava a 21 anni. Anche se ne avevo 19 mi fecero entrare cambiando la data di nascita. Questo dimostra quanta fedeltà c’era al partito.

 

La rivolta d’Ungheria è stata la scossa ?

 

Certo, la sentivamo in modo forte anche perché vicini all’Austria e vedevamo i profughi alle frontiere. Le nostre manifestazioni coinvolgevano tutti gli studenti della città e della provincia. Lo facevamo dialogando con i presidi. Allora gli istituti erano concentrati nelle città, non c’era ancora questa ricchezza di istituti superiori in tutte le città. Una fiumana di studenti convergevano a Vicenza. Ero un piccolo leader e ancora oggi ci ritroviamo con i superstiti di quegli anni.

I delegati provinciali rimanevano in carica due anni e poi venivano inseriti negli organi provinciali con incarichi vari. Il delegato provinciale del giovanile adocchiava quelli che erano i leader del movimento studenti medi ed erano “sedotti” dal partito: io sono stato uno di quelli. Purtroppo sono stato assorbito dalla politica e ciò mi ha impedito di fare l’università (cosa che poi ho fatto in tempi successivi).

Successivamente sono entrato nel consiglio nazionale dei giovani guidato all’epoca da Luciano Benadusi. C’era anche, come delegato regionale, Lillo Orlando di Venezia. Tra i delegati provinciali c’erano Carlo Bernini a Treviso, Pasetto a Verona, Ettore Bentsik professore universitario, poi sindaco di Padova. Erano tutti del giovanile. Una squadra meravigliosa. Poi sono entrato nel partito assumendo la carica di dirigente organizzativo.

 

A chi facevi riferimento?

 

Nel giovanile eravamo fuori dalle correnti o meglio avevamo la nostra corrente. Era naturale che dopo fossimo chiamati a schierarci. Facevo parte della sinistra, ma sempre in un quadro di gestione unitaria. Si registrava una preponderanza di dorotei, mentre gli andreottiani non esistevano. Ricordo altresì la presenza fanfaniana storica con Fabbri e Corder e quella della sinistra unitaria tra Forze nuove di Cengarle, espressione del sindacato, la Base e molti giovani che facevano riferimento a me. Quando essi sono entrati nel consiglio nazionale il coordinatore riconosciuto ero io.

 

Rumor che cosa rappresentava per voi?

 

Nel giovanile, ripeto, non eravamo schierati. Rumor veniva dalle Acli e quindi dal mondo cattolico. Il vescovo era interventista, insisteva perché facessi parte del gruppo doroteo di Rumor.

Risposi fermamente che come espressione dei movimento giovanile non mi potevo schierare.

In alcune foto che ho visto pubblicate mi ha colpito un piccolo tavolo sobrio con personaggi illustri alla presidenza, con lo scudo crociato sullo sfondo e tanta partecipazione. Una sala stracolma.

Organizzai come movimento giovanile un convegno sui patti agrari e sul Piano Verde con Mariano Rumor ministro dell’Agricoltura, il quale aveva appena approvato quelle riforme.

 

Che cosa ha rappresentato, dunque, il Movimento giovanile come avvicinamento alla politica?

 

È stato fondamentale. Perché organizzai i corsi di formazione, essendo fondamentale per giovani. A riguardo, predisposi una convenzione con il centro studi sociali di Milano gestito dai gesuiti. Padre Macchi di Aggiornamenti sociali, padre Perico, padre Rosa, padre Reina, tutti sono venuti a Bassano del Grappa. Il sabato pomeriggio si iniziava il convegno su temi preordinati, si cenava sobriamente con prezzi tirati all’osso e poi si lavorava fino a tardi. La domenica c’era la Messa con meditazione appropriata alla giornata di studio, poi si finiva la domenica nel tardissimo pomeriggio per potere far rientrare tutti a casa.

 

Avevate una pubblicazione?

 

Il ciclostile non poteva mancare. Era un lavoraccio. Tutto volontariato. Avevamo uno spazio dentro la sede della Dc.

 

Una volta, se non sbaglio, avete portato un gruppo del Veneto al centro studi della Camilluccia, a Roma.

 

Noi avevamo un nostro programma formativo annuale. Facevamo cinque o sei conferenze con il centro studi sociali. Il prof. Conforti, consigliere comunale con me, ma più anziano, nonché docente di diritto amministrativo, illustrava i problemi delle Regioni in via dì costituzione, poi  alcuni di noi, su invito del dott. Cesaro che dirigeva il centro studi della Camilluccia, venivano mandati a Roma. Una volta il raduno fu fatto, per il Triveneto, al passo della Mendola in una full immersion – utilizzando le ferie – con Rumor, all’epoca vice segretario nazionale, Gui che era capogruppo della Camera, Flaminio Piccoli, Bruno Kessler e altri. Per 15 giorni si svolgevano lezioni che ruotavano attorno a tesine preparate ad hoc. All’esame finale arrivai primo del corso e fu per me una grande soddisfazione.

La Dc veneta era un partito federato. Alle elezioni politiche potevamo ottenere 5-6 seggi, ma un posto era bloccato per i sindacalisti, come per Girardin a Padova e Cavallari a Venezia; un posto andava a quelli della Coldiretti, il terzo era per le Acli di Dall’Armellina poi un posto per l’Azione cattolica con Breganze, sostenuto direttamente dal Vescovo. Su sei, i posti realmente in gioco erano solo due. Il segretario provinciale Dc non è stato mai eletto. L’unico eletto fu Renato Corà, tutti gli altri no.

Poi, io e te, ci incontriamo alla Camera. Sì, c’erano i Presidenti del mio periodo: “Gingio” Rognoni,  Scotti, Gava, Bianco…e tu, Maurizio!

 

Nella storia della Dc vicentina affiora il nome di Treu…

 

Renato Treu, il papà di Tiziano, svolgeva la funzione di segretario provinciale quando io ero delegato provinciale. L’ho poi ritrovato senatore. Fu emarginato da Rumor. Treu non fu ricandidato: se la prese molto quando Rumor fu candidato nel suo collegio senatoriale. I Treu erano di origini friulane. Renato insegnava matematica e fu anche presidente dell’amministrazione provinciale. Tiziano invece, dopo essere stato Ministro, fu Presidente dell’istituto di scienze sociali e religiose fondato da Gabriele De Rosa.

Pensa che ho trovato una straordinaria comunità di friulani a Chieri, nel mio collegio in Piemonte, che erano apprezzati imprenditori di successo nell’edilizia, soprattutto perché i piemontesi, per parte loro, erano prevalentemente imprenditori tessili.

Se osserviamo gli indicatori socio economici della provincia di Vicenza al tempo della Ricostruzione, essi ci colpiscono per la loro assoluta rilevanza. Risultati davvero straordinari e poderosi.

La provincia di Vicenza era prevalentemente agricola salvo alcuni poli industriali di fine ottocento e inizio novecento, come la Lanerossi ex Marzotto a Schio e Valdagno.

Il 95 per cento della forza lavoro operava nell’agricoltura. In pratica, parliamo di povertà e miseria. Hai presente i famosi discorsi sui “metalmezzadri”? Il dato storico ci dice che da contadini passano ad operai, poi ad artigiani e in ultimo ad imprenditori.

Oggi abbiamo il 97 per cento di pmi. Siamo la più grande provincia esportatrice: industria orafa, legno, artigianato ceramico erano e sono le specializzazioni dei nostri distretti produttivi.

 

Cosa rimane, in termini di più grande soddisfazione, della tua esperienza parlamentare?

 

La legge quadro dell’artigianato di cui sono stato relatore. Riuscimmo a vararla dopo due legislature di tentativi infruttuosi. Rappresenta, vista anche oggi, una legge di sistema. Aggiungerei la riforma delle pmi (la 317) con scelte molto innovative, come l’introduzione della defiscalizzazione per gli interventi produttivi, i consorzi all’esportazione, l’attenzione alla ricerca.

È stata dura perché il titolare del dicastero dell’Industria, il repubblicano Adolfo Battaglia, legato alla Confindustria, difendeva la grande impresa.

Riuscimmo comunque a spuntarla. A prevalere fu la volontà del Parlamento. Perfino i comunisti, dall’opposizione, contribuirono a superare le difficoltà.

 

Anche i deputati del PCI diedero una mano?

 

Sì, soprattutto gli emiliani si dimostrarono sensibili alle pmi e alla struttura produttiva della loro regione.

A distanza di tempo, devo ringraziare soprattutto Viscardi e Bianchini, e poi Guido Bodrato, subentrato a Battaglia, che varò i decreti attuativi. Una fatica non da poco, essendo numerose le deleghe inserite nella legge.

 

Torniamo al partito, alla tua regione, al ruolo di Mariano Rumor.

 

Ecco, Rumor aveva una scuola di cultura cattolica e la domenica, dopo i vespri, la frequentavamo. Uno dei relatori fu anche Cossiga. Dal 1955 al 1970 si alternano i nomi di tutta la variegata e complessa compagine dorotea. A Vicenza erano di casa Gava, Antoniozzi, Signorello, Colombo. Si andò avanti in questo modo fino a che non si consumò il “tradimento” – così lo avrebbe definito Rumor nelle sue memorie – di Tony Bisaglia.

 

Quando è maturata la rottura?

 

Teniamo conto della “costruzione” politica della Dc veneta. Prima di Bisaglia, il polesano Romanato veniva eletto con i voti dei cattolici vicentini, con la benedizione delle gerarchie ecclesiastiche. Questo spiega l’avvento sulla scena di Tony Bisaglia, esponente dell’unica provincia rossa del Veneto, e cioè Rovigo. Fu portato di peso da Rumor perché la sua affermazione rispondeva a un criterio di “regolazione” degli equilibri su scala regionale.

 

Ma la  rottura quando ci fu?

 

A cavallo tra il 1968 e il 1969, nel mezzo della contestazione giovanile ed operaia.

 

Perché Rumor si sentì tradito?

 

Bisaglia scava la sabbia sotto i piedi di Rumor senza che Rumor ne abbia nell’immediato la percezione. È un movimento sotterraneo, portato avanti con lucidità e determinazione. Molti sono attratti nell’orbita bisagliana. Un uomo come Zoso nasce di sinistra ultrà, di contestazione anche nei miei confronti e si converte ai Dorotei, insieme a Zampieri, Dal Maso e Giacometti. E altri ancora.

 

Tu che pensi, qual è l’eredità di Rumor? Ha fatto molte cose oppure una grande cosa?

 

Ha organizzato la direttissima Arsiero-Tonezza, la prima grande opera che ha superato difficoltà viabilistiche, unendo le comunità di due altipiani. Come ministro rivendicava a sé la promozione del Piano verde: un grande momento di programmazione.

Rumor appartiene alla generazione che “pensa” lo sviluppo del Paese. Nel Movimento giovanile noi studiavamo lo schema Vanoni. Cosa rappresentava? Con “schema” s’intende la correlazione tra sviluppo del reddito e sviluppo dell’occupazione. “Non ho usato il termine pianificazione – disse Vanoni – per non usare un termine marxista”. Questa è stata la grandezza di Vanoni come la sua umiltà! Altro che ricordarlo per la dichiarazione dei redditi!

 

Hai fatto due legislature in Regione Veneto e poi sei stato eletto alla Camera. Sei entrato preparato, non come gli eletti di questi tempi?

 

Sono entrato in Regione nel 1975, per essere poi rieletto nel 1980. Tuttavia non completai il mandato perché nel 1983 il partito mi obbligó a candidarmi alla Camera.

In quella elezione si registrò una flessione sensibile, sebbene la Dc a Montecitorio riuscisse ad eleggere 226 deputati. Fanfani simpaticissimo e autoritario ci considerava dei ragazzetti. Lo incontrammo con Hubert Corsi. Ci disse che l’errore principale del 1983 fu quello di sguarnire le Regioni candidando gli uomini più forti sul piano elettorale.

 

Fai parte della generazione di parlamentari che è entrata nel 1983 insieme a Mattarella, Castagnetti, Bianchini, Corsi, Carrus, Puja, Astori, Pietro Soddu, Casini. Nella flessione del 1983 era entrata…molta qualità! Il bilancio definitivo, come vorresti presentarlo in forma sintetica?

 

Dal ‘64 al ‘75 sono stato in Comune, a Vicenza, poi in Regione dal ‘75 al ‘83, infine ho avuto l’onore di essere eletto al Parlamento.

L’esperienza comunale mi è servita molto per il successivo lavoro in Regione, quella regionale, a sua volta, è stata validissima per l’imoegno parlamentare. Il processo è stato ideale.

La prima vera formazione è stata quella politica, fatta con umiltà e sacrificio, perché bisognava studiare Maritain, De Gasperi, Sturzo, poi Vanoni per la parte economica. Nel consiglio nazionale era un fortuna per me stare con Moro, Zaccagnini, Fanfani, Colombo, Rumor, Piccoli, Gava.

Due vite parallele, insomma: quella amministrativa e quella parlamentare. In seguito, dopo la Camera, ho continuato a fare politica in altro modo, andando a guidare l’Istituto Niccolò Rezzara e svolgendo attività di volontariato di vario tipo. Fino a qualche tempo, sempre per amore della politica, mi sono ritrovato coordinatore regionale degli ex parlamentari. Che dire? Pur con i miei 84 anni…non mi risparmio.