Una volta raggiunta l’auspicata tregua nel conflitto russo-ucraino, il problema che si troverà di fronte l’UE sarà di decidere se proseguire verso un’unione più stretta (e a questo punto davvero entrano in campo i pesi massimi, ovvero politica estera e di difesa) con le nazioni disponibili, lasciando alle altre l’unione economica, nonché la possibilità di aggregarsi in un secondo momento. 

La Conferenza sul futuro dell’Europa, aperta il 9 maggio 2021 dal compianto e indimenticabile David Sassoli, si è conclusa un anno dopo senza aver coinvolto attivamente la grande maggioranza dei cittadini europei (ma questo era inevitabile, realisticamente) e senza aver prodotto risultati altisonanti nell’immediato (e pure questo era prevedibile, data anche la sua organizzazione interna alquanto farraginosa e burocratica). Ha però egualmente lasciato alcune tracce che sono di notevole interesse e importanza. Quindi, non è stata inutile. Almeno, non lo sarà stata se qualcuna di queste tracce condurrà ad un percorso importante per il futuro, appunto, dell’Unione.

La principale traccia, comprensiva di tutte le altre, presenti nelle 49 “raccomandazioni” (suddivise in 400 “sottoraccomandazioni”) che la Conferenza ha presentato alle istituzioni comunitarie (Commissione, Consiglio, Parlamento), è quella che porta alla possibile Riforma dei Trattati. Ecco la vera novità: un evento ritenuto impossibile è oggi valutato quanto meno meritorio di dibattito non solo accademico. Non è davvero poca cosa, nel paludato ambiente bruxellese. Anche se, bisogna dirlo subito, di assai difficile e complicata realizzazione.

Il dato è eminentemente politico. E ruota intorno al “principio di unanimità” che governa la parte più rilevante e importante delle decisioni che vengono adottate dal Consiglio Europeo all’insegna, per lo più, della prevalenza degli interessi nazionali su quelli comunitari. Interessi che spesso sono divergenti. Gli esempi al riguardo sono numerosi e si ripropongono ad ogni crisi che la UE deve affrontare. 

Peraltro, la positiva esperienza dell’adozione del piano Next Generation UE (elaborato in seguito alla pandemia) e ora, a fronte dell’aggressione russa all’Ucraina, dell’unità espressa dai Ventisette nell’adozione di misure severe nei confronti di Mosca (sia attraverso le sanzioni economico-finanziarie, sia mediante l’aiuto in mezzi militari fornito a Kiev), ha generato un qual certo ottimismo circa la reale volontà europea di superare i blocchi interni che sino ad oggi hanno reso, di fatto, l’UE un nano politico pur essendo un gigante economico. Quell’ottimismo che ha guidato il Presidente del Consiglio italiano, ad esempio, nell’invito espresso nel suo discorso al Parlamento di Strasburgo “ad abbracciare la revisione dei Trattati con coraggio e con fiducia”.

Ma la netta chiusura dell’Ungheria, che da poco ha confermato l’ipersovranista Orban alla sua guida, rispetto all’ipotesi di bloccare completamente le importazioni di gas e petrolio dalla Russia si è immediatamente incaricata di mostrare a tutti quanto improbabile sia il superamento del vantaggioso principio dell’unanimità per chi intenda utilizzarlo in termini ricattatori ogni qualvolta lo ritenga utile per salvaguardare i propri interessi nazionalistici.

È evidente a chiunque che in questa maniera l’UE non raggiungerà mai lo status di grande e influente potenza mondiale. Anche in questa tragica guerra che si svolge sul suolo europeo, ai confini dell’Unione, a me pare che se mai un giorno si arriverà ad un accordo almeno per il cessate-il-fuoco la Russia intenda discuterlo con gli USA e non con la UE. Perché nella logica imperiale di Mosca è con gli altri “imperi” che si tratta e non con una sommatoria di piccole nazioni. Al fondo, e neanche tanto, è quello che pensa pure Pechino.

La verità è che, conclusa la Conferenza sul futuro, e – si spera, si prega – raggiunta una tregua nel conflitto russo-ucraino il problema che si troverà di fronte l’Unione sarà di decidere se proseguire verso un’unione più stretta (e a questo punto davvero entrano in campo i pesi massimi, ovvero politica estera e di difesa) con le nazioni disponibili, lasciando alle altre l’unione economica – da ricalibrare, però – nonché la possibilità di aggregarsi in un secondo momento. In caso contrario, temo che sarà ben difficile rivedere i Trattati e superare il principio dell’unanimità.

Sono troppi gli Stati – prevalentemente nell’est del continente – che nella UE vedono soprattutto se non esclusivamente un’opportunità economica senza alcuna fiducia, anzi alcun interesse nel suo possibile disegno politico. In taluni casi (come si è visto con Polonia e Ungheria) vi sono consistenti opposizioni ai principi-cardine dello stato di diritto e quindi qualsivoglia integrazione giuridica. Una constatazione, questa, che dovrebbe suggerire prudenza ai troppo emotivi sostegni ad un ingresso immediato dell’Ucraina nella UE. Oggi essa va doverosamente aiutata. Ma i problemi che generano immobilismo politico a Bruxelles devono ora essere affrontati con lucidità, non con superficialità. Orban è lì a ricordarcelo. 

L’esigenza primaria, ora, è liberare l’Unione dal cappio dell’unanimità. A quel punto, tutto sarà possibile.  Anche la nomina della Commissione col voto del Parlamento di Strasburgo, come è stato proposto da una delle raccomandazioni della Conferenza sul futuro della UE. Appunto, un futuro che non dovrà essere avvinghiato, come il passato, al vincolo castrante dell’unanimità.