In un recente saggio pubblicato nella Rivista il Mulino (n.2/2020), Giovanni B. Sgritta, professore emerito di Sociologia all’Università Sapienza di Roma, ragiona sul “senso civico degli italiani”: tema non nuovo e spesso dibattuto allo scopo di evidenziarne la labilità in ogni contesto, dagli stili di vita cd. “quotidiani”, ai luoghi di lavoro, nella città, alla vita sociale del Paese in generale. Un approccio, dunque, che ha radici letterarie, politiche e morali, lontane, ma che racconta una storia basata più su suggestioni che su solide indagini empiriche.

L’analisi del Prof. Sgritta, che avevamo già apprezzato in un lavoro con M. Raitano sulle “disuguaglianze intergenerazionali”, prende le mosse da un lavoro di Carlo Tullio Altan del 1986, da quella “sindrome di arretratezza socio-culturale” da cui “emergeva una costellazione di disvalori, che possono essere riassunti nella povertà di spirito pubblico, di corresponsabilità collettiva, di senso civico”.

La base empirica del saggio di Sgritta è il Rapporto pubblicato nel 2019 dall’Istat sul senso civico degli italiani; un’indagine che ha il pregio di basarsi su un’ampia dimensione campionaria, oltre ad aprire lo sguardo su un largo ventaglio «di comportamenti e atteggiamenti che attengono al rispetto degli altri e delle regole di vita in comunità». I dati raccolti dall’Istat tramite interviste strutturate si riferiscono alle situazioni più ricorrenti del vivere sociale, e offrono uno spaccato conoscitivo importante ma non adeguatamente valorizzato e ripreso dall’analisi sociologica: potremmo considerare un’importante eccezione, ma con una storia a se’, gli annuali Rapporti del Censis dove il tema del senso civico viene inglobato nell’alveo di una più ampia deriva degenerativa (egoismo, indifferenza, rancore, relativismo etico) che confluiscono in quello che Giuseppe De Rita da sempre definisce il “corpaccione sociale”.

L’approccio di Sgritta tasta il polso della situazione attraverso la rilevazione di comportamenti individuali che forniscono una connotazione e una tendenza di tipo sociale. E lo fa – partendo dall’indagine dell’Istat-  attraverso la lettura delle interviste e la valutazione delle risposte, pur senza adombrare la pretesa di ricavarne un quadro di insieme omnicomprensivo, compiutamente esplicativo e totalizzante: gli ambiti e i contesti considerati sono tuttavia efficaci al fine di verificare atteggiamenti prevalenti, soggettività che danno conto di derive condivise e in via di consolidamento, tendenze, scelte e convincimenti che sostanziano uno stile comportamentale che genera opzioni maggioritarie in cui riconoscere se stessi.

Ad esempio il parcheggiare l’auto in seconda fila è ritenuto disdicevole dal 70% degli intervistati, mentre un significativo 30% lo considera tollerabile, con maggiore  enfasi tra i giovani.

Comportamenti ben più gravi seguono la stessa china. Vale per ottenere regali, favori o denaro in cambio del proprio voto alle elezioni; offrire regali o denaro a un funzionario pubblico per ottenere favori; non pagare le tasse; ma anche abbandonare i rifiuti dove capita, imbrattare muri, affiggere annunci, avvisi e pubblicità su pali, cassonetti ecc. Con proporzioni di coloro che non valutano riprovevoli tali azioni tra il 20 e  il 70%, con i giovani in prevalenza sempre più indulgenti, con il Nord più ligio del Centro e del Sud, i piccoli centri più virtuosi delle grandi città, le donne più “civili” degli uomini, i più istruiti più dei meno istruiti: specchio di un Paese nel quale «la dimensione del sociale – come scriveva C. Tullio Altan – ha così scarsa consistenza da apparire qualcosa di evanescente, di fronte all’interesse personale e familiare, tanto da rendere difficile il considerare la società stessa come titolare di diritti propri».

Scopo dell’analisi di Sgritta è dunque quello di valorizzare i dati dell’indagine condotta dall’Istat; perché da essa si ricavano comportamenti e atteggiamenti che si vanno radicando nel tessuto sociale, a partire dal considerare le regole assoggettate ai principi di discrezionalità, eccezione e sospensione “fino al consolidarsi di comportamenti sempre meno rispettosi della convivenza civile”. Ottengono così percentuali “bulgare” di giustificazione il buttare cartacce per terra (88,7%), il viaggiare sui mezzi pubblici senza biglietto (84,5%), guidare usando il cellulare senza cuffie o vivavoce (79.6%).

Le infrazioni al codice della strada rivelano ammissioni pesanti: Il 38,4%, dei 18-24enni maschi non reputano grave «passare con il rosso», «non allacciare le cinture» (52,6%), «non indossare il casco» (30,8%), «guidare dopo aver bevuto» (21,2%), con gli anziani che si collocano su livelli non significativamente dissimili, mentre le donne stanno in media sotto i dati dei maschi di appena due punti percentuali. Su un gradino più alto della civicness si collocano i comportamenti che afferiscono all’interesse collettivo: corruzione, voto di scambio, fedeltà fiscale, il copiare a scuola, l’avvalersi di una raccomandazione per ottenere un posto di lavoro. Partendo da quest’ultimo ambito, una percentuale tra il 60 e il 70 % ritiene riprovevole farsi raccomandare mentre il restante 40-30% lo giustifica ove non esistano altre vie per ottenere un posto di lavoro.

Circa il non pagare le tasse, un buon 25% lo ammette se la qualità dei servizi è scadente, la stessa percentuale si riscontra in chi considera la corruzione un “inevitabile male italico”, con minimi scostamenti tra uomini/donne e giovani/anziani, mentre sembra che due terzi degli interpellati insista per ottenere lo scontrino fiscale ma al di sopra dei 35/40 anni: il resto se ne va senza reclamare, “pro bono pacis”.

Circa il copiare a scuola i giovani – a seconda dell’età – lo considerano grave tra il 45,7% e il 52,3%, mentre gli anziani sono più severi con un indice tra il 73,2% degli over 65 e il 74,8% dei 56/65enni.

Le giustificazione alla deroga del non copiare sembra un’attenuante prevalente nelle popolazioni latine mentre tendenzialmente nei paesi anglosassoni questo comportamento va sanzionato in modo severo.

In sintesi e in via generale e riassuntiva, il Prof. Sgritta rileva una deriva giustificazionista al mancato rispetto delle regole più accentuate tra i giovani rispetto agli anziani, quasi cogliendo una tendenza a marcata connotazione generazionale e questo non è certo un buon segno se pensiamo al senso civico come valore che sta cadendo in disuso: forse ciò è anche in parte dovuto alla precarietà esistenziale del presente che produce modelli etici flessibili e meno rigidi e vincolanti per chi brancola nel buio di un futuro incerto.