La tradizionale scarsa attenzione per i temi di politica estera si è accentuata in questi mesi dominati dall’emergenza sanitaria. E’ quindi comprensibile (parzialmente) il poco spazio che la stampa ha dedicato allo scontro avvenuto a metà mese nell’area himalayana fra cinesi e indiani, un incidente che avrebbe provocato qualche decina di vittime. Ma un episodio sanguinoso che coinvolge le due nazioni che da sole hanno oltre un terzo della popolazione mondiale non può essere sottovalutato.

La questione è molto complessa, in quanto inerisce l’ansia di sviluppo commerciale e di rafforzamento strategico del quale si stanno nutrendo i nazionalismi dei due Paesi, alimentati dalle loro leadership politiche. Lo scontro è avvenuto in montagna tra le catene del Karakorum e dell’Himalaya ma un domani potrebbe trasferirsi sul mare, essendo l’Oceano Indiano (e gli insediamenti portuali in esso presenti) un elemento fondamentale della Belt & Road Initiative (BRI) cinese. Sarà quindi il caso, da ora in avanti, di prestare estrema attenzione all’evolversi delle relazioni sino-indiane.

Sono quasi 3000 i chilometri di confine che, lassù al nord, separano India e Cina. Una frontiera che in realtà è il risultato di una arbitraria linea definita dagli inglesi nel XIX° secolo e che non è mai stata formalmente riconosciuta dalle parti interessate. Vige però, dal 1962 (dopo il conflitto perduto dagli indiani) una c.d. “linea attuale di controllo” (LAC) che in un qualche modo separa i due enormi Stati. Da allora, qualche puntura di spillo, qualche colpo d’artiglieria sparato, qualche sconfinamento ma mai nulla di così grave come quanto accaduto ora. Anzi, dal 1996 è istituita un’apposita commissione per la pace nella regione. 

Quelle centinaia e centinaia di chilometri assumono un’importanza notevole per una serie di questioni. Alcune squisitamente politiche, ma tutte legate a concreti interessi economici e di approvvigionamento idrico. Esempio lampante è lo stato nord-orientale indiano chiamato Arunachal Pradesh, confinante con Cina, Bhutan e Myanmar ma rivendicato da Pechino in quanto “Tibet meridionale”. E poiché queste rivendicazioni territoriali cinesi si fanno sempre più numerose (soprattutto nel Mar Cinese Meridionale) è ovvia la preoccupazione di Dehli. Chiaramente è un segnale per dire al mondo che di indipendenza al Tibet non si può nemmeno far cenno, e questo è l’aspetto politico. Ma poi v’è anche un profilo economico. Perché in quella regione percorsa dai fiumi Bramaputra e Yarlung Tsangpo – essenziali per l’approvvigionamento idrico dell’India orientale – corrono voci circa la progettazione da parte cinese di alcune dighe che inevitabilmente destano forti preoccupazioni fra gli indiani. 

Più a ovest, non molto, incastonata fra il Bhutan e il Nepal c’è la regione del Sikkim: amministrata dall’India, non è mai stata riconosciuta dalla Cina. Qui nel 2018 ebbe luogo una scaramuccia provocata da una strada costruita dai cinesi su un altopiano che essi considerano loro mentre il Bhutan ritiene suo. Al confine c’è l’India, ovviamente non disinteressata a quanto accade.

Ancora più a occidente, decisamente più a occidente, è la regione dell’Aksai Chin, questa invece amministrata dalla Cina e confinante col Kashmir indiano. E’ qui che si è prodotto lo scontro del quale si è detto. Anche qui c’è di mezzo una strada lungo un fiume che scorre in un’ampia vallata rivendicata, pure questa, dalla Cina ma invece gestita dagli indiani. Ma perché una strada può essere tanto importante? Perché da quelle parti ve n’è un’altra che attraversa il Kashmir pakistano per approdare nello strategico porto di Gwadar, uno dei punti di massima rilevanza della BRI, la “via della seta”. Fondamentale come il “corridoio” che lo collega al territorio cinese consentendo alle merci del Dragone di aggirare il subcontinente indiano e raggiungere le acque del Mar Arabico, da dove proseguire il viaggio verso Africa ed Europa. 

Ebbene, quando il premier indiano Nahandra Modi ha trasformato in semplice regione autonoma lo stato del Kashmir indiano addirittura lasciando intendere di avere qualche mira sul Kashmir pakistano a Pechino è scattato l’allarme rosso, perché il “corridoio” sino-pakistano, come si è visto, è decisivo nei piani del Presidente Xi Jinping. 

Probabilmente lo scontro rientrerà, come è sempre avvenuto negli ultimi sessant’anni. Ma che Cina e India siano destinate ad essere confliggenti, durante il “secolo asiatico” ormai iniziato, è pressoché certo.