Variante inglese, variante brasiliana e variante sudafricana di coronavirus Sars-CoV-2. La prima e la seconda arrivate anche in Italia, la terza per ora segnalata in un singolo caso dall’ospedale di Varese dell’Ats Insubria. Ma quali sono i mutanti da temere di più per il loro possibile effetto su contagiosità e gravità dell’infezione, nonché anche sull’efficacia di test diagnostici, farmaci e vaccini contro Covid-19? L’Istituto superiore di sanità fa chiarezza con uno speciale online.

Al momento – ricorda l’Iss – sono tre le varianti che vengono attentamente monitorate e che prendono il nome dal luogo dove sono state osservate per la prima volta. In tutti e tre i casi il virus presenta delle mutazioni sulla cosiddetta proteina ‘Spike’, che è quella con cui il virus ‘si attacca’ alla cellula”.

Ebbene, “la ‘variante inglese’ (VOC 202012/01) è stata isolata per la prima volta nel settembre 2020 in Gran Bretagna, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 9 novembre 2020. E’ monitorata perché ha una trasmissibilità più elevata”, ed è stata “ipotizzata anche una maggiore patogenicità, ma al momento non sono emerse evidenze di un effetto negativo sull’efficacia dei vaccini”.

“La ‘variante sudafricana’ (501 Y.V2) – prosegue l’Iss – è stata isolata per la prima volta nell’ottobre 2020 in Sud Africa, mentre in Europa il primo caso rilevato risale al 28 dicembre 2020. E’ monitorata perché ha una trasmissibilità più elevata e perché dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Si studia se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti da Covid-19”.

Infine, “la ‘variante brasiliana’ (P.1) è stata isolata per la prima volta nel gennaio 2021 in Brasile e Giappone. Alla data del 25 gennaio 2021 è stata segnalata in 8 Paesi, compresa l’Italia. E’ monitorata perché ha una trasmissibilità più elevata e perché dai primi studi sembra che possa diminuire l’efficacia del vaccino. Si studia se possa causare un maggior numero di reinfezioni in soggetti già guariti da Covid-19”.

In Italia “l’analisi delle varianti” di coronavirus Sars-CoV-2 “viene effettuata dai laboratori delle singole Regioni, sotto il coordinamento dell’Iss. Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie raccomanda di sequenziare almeno circa 500 campioni selezionati casualmente ogni settimana a livello nazionale”.

Sempre in base a quanto suggerito dall’Ecdc, l’Iss dettaglia le “priorità” da rispettare nella scelta dei campioni da sottoporre a sequenziamento genetico: “Individui vaccinati contro Sars-CoV-2 che successivamente si infettano nonostante una risposta immunitaria al vaccino; contesti ad alto rischio, quali ospedali nei quali vengono ricoverati pazienti immunocompromessi positivi a Sars-CoV-2 per lunghi periodi; casi di reinfezione; individui in arrivo da Paesi con alta incidenza di varianti Sars-CoV-2; aumento dei casi o cambiamento nella trasmissibilità e/o virulenza in un’area; cambiamento nelle performance di strumenti diagnostici o terapie; analisi di cluster, per valutare la catena di trasmissione e/o l’efficacia di strategie di contenimento dell’infezione”.

La comparsa di varianti del patogeno responsabile della pandemia di Covid-19 non è inattesa. “I virus, in particolare quelli a Rna come i coronavirus – spiega infatti l’Iss – evolvono costantemente attraverso mutazioni del loro genoma. Mutazioni del virus Sars-CoV-2 sono state osservate in tutto il mondo fin dall’inizio della pandemia”.

“Mentre la maggior parte delle mutazioni non ha un impatto significativo – precisa l’Istituto – qualcuna può dare al virus alcune caratteristiche come ad esempio un vantaggio selettivo rispetto alle altre attraverso una maggiore trasmissibilità, una maggiore patogenicità con forme più severe di malattia, o la possibilità di aggirare l’immunità precedentemente acquisita da un individuo o per infezione naturale o per vaccinazione. In questi casi diventano motivo di preoccupazione, e devono essere monitorate con attenzione”.