Non è un momento semplice per l’Unione Europea. In realtà non lo è per nessuno, ma per l’Europa lo è ancor meno. Le difficoltà e i ritardi nella campagna vaccinale, la dimostrazione fattuale di una industria farmaceutica continentale inferiore a quella americana, l’intensificarsi dell’epidemia a causa delle sue varianti con i conseguenti lockdown che un po’ ovunque deprimono ulteriormente un’economia già da un anno in grave sofferenza, la necessità – ormai prossima – di rispondere alle sollecitazioni della nuova Amministrazione USA a fronte di una confermata e colpevole assenza di una politica estera comune sono, insieme ad altri, elementi di seria difficoltà che non possono venire elusi.  

Nel senso che quanti sinceramente ritengono fondamentale procedere nel percorso dell’integrazione politica non possono far finta di non vedere questi problemi, limitandosi così ad esaltare il Next Generation UE e la sospensione del Patto di Stabilità non comprendendo che senza un cambio di passo effettivo nella somministrazione del vaccino antivirale si rischia di accrescere nuovamente la distanza dalla gente comune delle “burocratiche” istituzioni comunitarie fornendo involontariamente ossigeno ai cantori del sovranismo. Le esternazioni contro la Commissione del “governativo” Salvini danno bene l’idea di quello che potrebbe accadere.

Questa premessa per dire che l’ormai prossimo avvio della Conferenza sul futuro dell’Europa (CoFuE) non dovrà risolversi – e invece se ne vedono già ora tutte le avvisaglie – nel solito rituale pomposo ma totalmente inutile durante il quale il ceto politico dirigente assistito dalla tecnocrazia comunitaria declama idee teoriche su “come costruire un’Europa resiliente” (sì, “resiliente”: il nuovo vocabolo magico che ormai non può mai mancare in ogni contesto), si autoincensa in quanto capace di coinvolgere i cittadini in una “discussione pubblica” ricca di conferenze plenarie e panels con i cittadini per poi concludere il tutto con un documento neutrale largamente inferiore alle aspettative suscitate. Davvero, in tempi come questi, un esito che non ci si può permettere. Purtroppo però il rischio c’è tutto. Lo testimonia sia la modalità con la quale la Conferenza è stata promossa sia la sua “governance” di funzionamento.

Innanzitutto essa è il frutto di un compromesso fra i governi – in primis, quello francese – che l’avevano immaginata oltre un anno fa e i soliti esecutivi dell’Europa orientale (cui stavolta si sono associati quelli scandinavi) che ne hanno ab initio limitato la possibile portata. E così, le conclusioni della Conferenza dovranno essere approvate all’unanimità e tratteranno unicamente “le ambizioni e le future politiche dell’Unione”. Ovvero non si affronterà il tema vero che un’occasione come questa dovrebbe analizzare, la revisione dei Trattati che regolano la forma e il funzionamento delle istituzioni comunitarie.

Ciò significa, in buona sostanza, che non verrà discusso il punto che più di ogni altro mina alla base la capacità decisionale dell’Unione, quello ormai annoso dell’unanimità, che indebolisce l’impianto comunitario a tutto vantaggio di quello su base nazionale. Il Consiglio Europeo dei Ventisette quindi continuerà a prevalere sulla Commissione (e sul Parlamento). E – questione forse più di immagine che altro, ma indisponente nei confronti dell’opinione pubblica – rimarranno le due sedi (Bruxelles e Strasburgo) con conseguente spreco di soldi e tempo, ovvero di risorse economiche comuni. Il che non significa, ovviamente, che i temi posti in agenda non siano rilevanti (dalla sfida ambientale all’equità sociale, dalla trasformazione digitale alle migrazioni), ed è certo bene che vengano discussi anche con il coinvolgimento (quanto effettivo, si vedrà) dei cittadini europei ma il pericolo di un lavoro privo di conseguenze politiche è purtroppo palese.

Lo si desume anche dalle modalità di governance della Conferenza. Si metterà in campo una complessa e ridondante struttura organizzativa, frutto anch’essa del compromesso: la Conferenza sarà presieduta dai tre Presidenti (Parlamento, Commissione, Consiglio) ma soprattutto sarà articolata in un Comitato Esecutivo composto da nove membri (tre per Istituzione) e ulteriori quattro “osservatori”, sempre per ciascuna delle tre Istituzioni (così da consentire una presenza a tutti i 7 gruppi parlamentari presenti a Strasburgo), nonché dalla troika COSAC (l’organismo che rappresenta i Parlamenti nazionali) e dai Presidenti del Comitato delle Regioni, del Comitato economico-sociale e di eventuali altri organismi dell’UE e delle parti sociali. Come detto, questa complessa struttura dovrà decidere ogni documento all’unanimità. Col solito rischio, dunque: l’immobilismo. Mentre invece, ce lo sta dimostrando Joe Biden, gli altri si preparano a correre, appena la pandemia verrà sconfitta.