VERSO LE ELEZIONI EUROPEE. CHE RUOLO AVRANNO I POPOLARI NEL 2024?

Test elettorale decisivo, quello delle europee: il governo, anzitutto, verificherà il suo consenso. Tutto è in movimento nei Paesi dell’Unione. I Popolari devono decidere se affrontarle - queste elezioni - con un piglio certo più combattivo di quanto dimostrato sinora

Tutto lascia prevedere che saranno le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, nel giugno del 2024, il vero test elettorale sul quale verrà valutato il nuovo governo di Destra ma soprattutto verranno testati i nuovi assetti politici che stanno iniziando a delinearsi in questi mesi ma che sono ancora in via di definizione. È questa una condizione anche di altri Paesi dell’Unione, ragion per cui davvero la prova elettorale continentale del prossimo anno potrebbe assumere un rilievo molto importante per il futuro della politica europea. Quanto ciò sia vero lo dimostrano, al momento, le iniziative che alcuni attori politici stanno cominciando ad avviare.

La premier, nella sua versione di leader dei Conservatori europei, sta prudentemente avviando colloqui e sondaggi con i Popolari europei, rappresentati in Italia da Berlusconi e Tajani ma ben consapevoli che oggi le carte del centrodestra italiano le dà Giorgia Meloni. Favorita dallo spostamento a destra del PPE, ora orfano della leadership incontrastata e centrista con sguardo a sinistra di Angela Merkel e timoroso di perdere ulteriori consensi sul fronte più conservatore. Quella che però potrebbe diventare una dura competizione su quella parte dello scacchiere è al tempo stesso una opportunità per costruire un fronte comune e vincente da contrapporre alle socialdemocrazie continentali, attualmente non tutte in buona salute. Scardinando così alla radice l’asse politico, quello fra socialisti e popolari, che ha da sempre retto l’organizzazione e l’impostazione politica generali della UE. La tentazione nella quale sta cadendo la CDU guidata da Friedrich Merz (da sempre acerrimo avversario della Merkel, collocato su posizioni di destra) è un’eccellente opportunità per la Destra europea, che potrebbe in questo modo uscire dal ghetto nel quale è confinata da sempre. Certo, l’operazione non è semplice, presenta margini di rischio per tutti ma ha un suo fascino e una sua logica. Si tratterà di vedere se Giorgia Meloni vorrà non solo esplorarla ma poi anche attuarla. Un tema sul quale tornare.

Poi ci sono le manovre sul fronte liberaldemocratico, che si pone al centro degli schieramenti europei, anche se tradizionalmente più prossimo ai socialisti che ai popolari. Ma tutto è in movimento, anche qui. La guida delle operazioni è del Presidente francese Emmanuel Macron. Non è un caso se l’altro giorno in una sala affollata la presentazione a Milano del progetto Renew Europe è stata fatta, alla presenza di Calenda e Renzi, da Sandro Gozi, già deputato del Pd ma attualmente parlamentare europeo eletto in Francia nel partito di Macron, del quale è amico personale. Renew Europe si propone di fatto come lo sviluppo della vecchia ALDE, l’alleanza democratica guidata anche allora da un francese, Francois Bayrou, della quale al Parlamento Europeo era parte un ventennio fa la Margherita di Francesco Rutelli e dei Popolari.

Infine, la socialdemocrazia oggi orfana dei laburisti inglesi e oscillante fra impennate elettorali e severe cadute a seconda dei paesi e dei momenti storici ma in generale non proprio in eccellenti condizioni, oggi a forte rischio d’essere peggiorate se lo scandalo che ha coinvolto alcuni suoi esponenti dovesse allargarsi e consolidarsi in quel campo e solo in esso (cosa però che, allo stato, non può essere ipotizzata a priori).

Bene. In questo quadro qui sommariamente tratteggiato quale è il poto, lo spazio, il ruolo dei Popolari italiani, dei cattolici democratici italiani? Forse però la prima domanda da farsi è se c’è ancora un popolarismo attivo e consapevole di sé, in Italia. Un tema che è affiorato nella bella e interessante iniziativa di un mese fa voluta dall’Associazione Popolari, ma che ora richiede un approfondimento e uno sviluppo. In effetti, osservando con occhio disincantato e però critico la situazione, si può notare che i Popolari (almeno: quelli che sono ancora nell’agone politico richiamandosi, in un qualche modo, alla loro nobile tradizione) sono sparsi un po’ qua un po’ là senza essere davvero incisivi ovunque. Non certo lo sono quelli che sin dall’inizio della diaspora sono andati a destra, capaci di cogliere qualche postazione un tempo grazie a Forza Italia ma oggi in difficoltà a fronte del prevalere della Destra. Ma questo si sapeva.

Il problema sono quelli – ad esempio chi scrive – che hanno convintamente sposato la causa del Pd e che poi negli anni si sono ritrovati in un partito sempre più lontano valorialmente, e oggi persino inetto politicamente, condizione quest’ultima che i cattolici democratici non avevano mai conosciuto, in Italia. A livello continentale, per sovrappiù, essi sono addirittura rinchiusi nell’alveo del socialismo (la dicitura del Gruppo al Parlamento di Strasburgo, Socialisti & Democratici, non essendo certo sufficiente a negare il dato oggettivo, facilmente certificabile leggendo qualsiasi organo di stampa). Ma pure, al momento, assenti dal citato nuovo progetto liberaldemocratico, che è imperniato sul macronismo e che qui in Italia è rappresentato da Calenda, con Renzi che vi partecipa certo non in qualità di Popolare. Insomma, se come tutto lascia prevedere saranno le elezioni europee del prossimo anno il crocevia dei nuovi assetti politici nazionali e probabilmente pure europei, i Popolari devono capire e decidere se affrontarle con un piglio certo più combattivo di quanto dimostrato sinora. Se vorranno ancora avere un ruolo. Appunto, se.