Verso un mondo post-globale. Osservazioni a margine di una riflessione di Giuseppe De Rita.

 

Il Presidente del Censis teme che una rimodulazione dei modelli di sviluppo economico e sociale resti prigioniera del quotidiano dibattito d’opinione, del ‘cortissimo’ raggio della cronaca, racchiudendo in un perimetro autoreferenziale ogni progetto di crescita che peraltro va cercato e sollecitato.

 

Francesco Provinciali

 

In attesa della pubblicazione ormai prossima del 55° Rapporto Censis, Giuseppe De Rita ci fa dono di una riflessione – pubblicata sul Corriere della Sera –  che certamente ne anticipa temi e contenuti.

 

Non da ieri il grande sociologo argomenta intorno all’autoreferenzialità del presente, tanto dibattuto da rendersi “asfissiante”: una politica di corto respiro che  non va oltre il rimuginamento sull’esistente, la blandizie verso la cronaca e il chiacchiericcio inconcludente, quando non si lancia invece nel tratteggiare disegni incompleti e astratti, avvinghiati a prospettive incerte e di maniera. La dimensione di un futuro immaginabile e gestibile attraverso la proposta di modelli sociali ed economici capaci di innescare e padroneggiare lo sviluppo sembra non le appartenga: per questo De Rita, riflettendo – forse con inguaribile ottimismo – su una rapida uscita dalla crisi pandemica che ci ha costretti ad una “casalinghità” di piccolo cabotaggio, argomenta sulla necessità di riprendere il cammino con piglio e vigore, attraverso idee e decisioni che esprimano la consapevolezza di un “profondo passaggio di fase o di ciclo di tutta l’economia… verso la costruzione di un mondo post-globale”.

 

Una caratteristica di questo mondo nuovo dovrebbe consistere- mi permetto di osservare – nel recupero del concetto di identità: la globalizzazione è stata un mare magnum indistinto e omologato verso il basso che ha finito per tutelare e far prevalere logiche su larga scala e poteri forti, nella finanza, nell’informazione, nelle imprese multinazionali per effetto di una “dilatazione universale delle innovazioni”.

 

Secondo De Rita occorre riconsiderare una dimensione economica spazio-temporale di “corto raggio”, che tenga conto delle filiere preesistenti all’impazzimento della globalizzazione e alle spinte espansive a livello geoeconomico. In questa linea di indirizzo vanno viste le tematiche “della sostenibilità, della riconversione ecologica, della qualità dei servizi di vita collettiva, del fisco come strumento di lotta alle diseguaglianze sociali, fino alla esaltazione della economia circolare. Insomma il genius loci – che è valorizzazione del “qui ed ora”, la riscoperta del territorio, la peculiarità delle risorse – troppo frettolosamente espunto dai processi di mondializzazione, ritrova senso e prospettiva nei modelli di sviluppo che vanno “dalla presenza del termine resilienza in ogni ambizione programmatica dell’Europa di oggi al build back better di Biden , interprete del sentire collettivo degli americani”… dopo le recenti esperienze negative di presenza in diversi angoli del pianeta.

 

 

Insomma il genius loci – che è valorizzazione del ‘qui ed ora’, la riscoperta del territorio, la peculiarità delle risorse- troppo frettolosamente espunto dai processi di mondializzazione, ritrova senso e prospettiva nei modelli di sviluppo che vanno “dalla presenza del termine resilienza in ogni ambizione programmatica dell’Europa di oggi al build back better di Biden , interprete del sentire collettivo degli americani”… dopo le recenti esperienze negative di presenza in diversi angoli del pianeta.

 

Ma anche per l’Italia la stagione delle filiere lunghe (“il made in Italy, quella enogastronomica, quella del primato nella produzione dei macchinari, quella del turismo”) necessita di una riconversione sul “corto raggio” gestibile e riprogrammato. Il Presidente del Censis teme al riguardo che una rimodulazione dei modelli di sviluppo economico e sociale resti prigioniera del quotidiano dibattito d’opinione, del ‘cortissimo’ raggio della cronaca che si focalizza sul presente e non preme il tasto dell’ascensore sempre fermo da tempo al piano terra, racchiuda in un perimetro autoreferenziale ogni progetto di crescita che peraltro va cercato e sollecitato.

 

Ciò spinge ad una verticalizzazione dei processi decisionali anziché verso una presa di coscienza ed una condivisione collettiva verso il basso. Il vincolo della delega “a  qualcuno che ci deve pensare” finisce per dilatare il gap tra paese legale paese reale. Una ‘guida’ il Paese l’ha finalmente trovata ed è autorevole , esperta e rispettata nel contesto internazionale: si chiama Mario Draghi e non ha alternative, intorno c’è un vuoto desolante. Non basterà ridurre il numero dei parlamentari per impostare strategie di corto-medio termine, non si tratta di un problema di quantità ma di qualità. L’aver attribuito a questa decisione una portata risolutiva e palingenetica rivela proprio quanta miopia e scarsa lungimiranza renda incerto il cammino.

 

De Rita non lo dice ma la conclusione sembra ineludibile: si può rimodulare la politica come servizio in un’ottica di post-globalizzazione solo se oltre all’oggetto (che il Presidente Censis ha ben tratteggiato) si considera anche il soggetto. Per dirla in breve, usciremo dalle secche del ristagno solo attraverso un radicale e coraggioso ricambio della classe dirigente del Paese. La storia insegna che non basta un generale se gli ufficiali e la truppa non lo seguono.